Intervista a Stefania De Peppe: Doppiatrice, voce di Lagertha in Vikings, Fallout 4, The Last of Us, Zoe in Topo Gigio

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Ospite di oggi della nostra rubrica delle interviste è Stefania De Peppe, doppiatrice di molti anime, telefilm e ovviamente personaggi videoludici. Attualmente sta vestendo i panni di Zoe in Topo Gigio disponibile su RaiPlay, ha interpretato Lagertha in Vikings, Akko in Little Witch Accademia e tanti altri.

Per quanto riguarda il mondo videoludico, ricordiamo Marlene in The Last of Us, Emissary in Destiny, Vanasha in Horizon Zero Dawn e la voce del personaggio femminile del gioco Fallout 4.

  • Cosa ti ha spinto a entrare nel mondo del doppiaggio?
Zoe, in topo Gigio, in onda su RaiPlay.

Premesso che io adoravo fin da bambina i cartoni animati e mi piaceva imitarne le voci, ho cominciato in maniera molto casuale, perché io ho iniziato a 7 anni a lavorare come attrice, come modella e, pian piano che andavo avanti, ho studiato recitazione e dizione per perfezionarmi.

Caso vuole che mio fratello fosse musicista e facesse jingle pubblicitari e spesso mi usasse per fare delle canzoncine con delle voci di bambini, così un giorno mi hanno sentita i clienti per cui aveva fatto quel lavoro, tra cui c’era la signora Perego, quella che animava il pupazzo di Topo Gigio, e si era così incantata della vocina che avevo fatto. Visto che combinazione c’era proprio una trasmissione all’epoca sulla Rai, dove c’erano due nuovi personaggi che affiancavano Topo Gigio, decisero di affidarne uno a me.

Da lì il mio debutto come doppiatrice, difatti poco tempo dopo ho conosciuto Davide Garbolino, con cui stavo lavorando, e consigliandomi che appunto avevo una predisposizione per il doppiaggio; così io ho fatto il corso con Donatella Fanfani al CDA, più o meno 24 anni fa; da allora non ho più smesso, ho iniziato con i cartoni animati, poi sono passata ai telefilm, ai film e ai videogiochi.

  • Qual è stato il personaggio più difficile da doppiare? E a quale sei più affezionata?
Lagertha, in Vikings, doppiata da Stefania De Peppe.

Ha doppiato tanti personaggi e ognuno aveva la sua complessità, per esempio: posso dire che i cartoni animati giapponesi, per il fatto che parlino molto velocemente, cambino continuamente espressione, passino da una risata estrema a un dialogo o monologo molto difficile da seguire; questi cambi di flessione comportano una certa difficoltà.

I telefilm devono essere più veri, più reali, quindi con un coinvolgimento di un certo tipo, e, se gli attori sono molto bravi, c’è una complessità attoriale di base e un’aderenza che bisogna sempre cercare di mantenere e questo può provocare alcune difficoltà. Forse il personaggio più difficile che ho fatto è stato proprio Akko in Little Witch Academia, con una caratterizzazione particolare perché è una ragazzina, quindi dovevo alleggerire molto la voce, parlando molto in fretta, facendo tantissimi cambi. Insomma, è stato abbastanza complesso. Il personaggio a cui sono più affezionata è Lagertha di Vikings, oramai doppiata per sei stagioni, tanto che l’ho vista cambiare, ho visto le sue battaglie e stranamente in concomitanza abbiamo avuto delle cose molto simili, lei nello sceneggiato, invece io nella vita reale, che mi hanno fatto sentire molto in sintonia con lei.

  • Sappiamo che hai doppiato una moltitudine di personaggi sia televisivi che videoludici, puoi raccontarci, tramite la tua esperienza, la differenza tra doppiare un videogioco e un film?

Non tutti sanno che esiste una differenza sostanziale nel doppiare un videogioco e un telefilm, o comunque un doppiaggio di un cartone animato. Intanto perché normalmente sui videogiochi lavoriamo con le onde sonore che servono come parametro per la lunghezza delle nostre frasi e, a seconda poi del range richiesto, devono essere perfettamente a sync, oppure con un margine di tolleranza in cui possiamo andare leggermente più lunghi, o leggermente più corti, perché magari il personaggio parla di spalle e quindi non c’è un vero e proprio doppiaggio a sync. Quindi abbiamo in cuffia molto spesso la voce originale del doppiatore, solitamente in inglese, e andiamo a braccio a fare frasi.

Molto spesso non ci è dato sapere né che cosa stiamo doppiando, né il personaggio, il nome che ha e con chi stiamo interagendo, con chi stiamo facendo questo dialogo e altri elementi essenziali. Infatti quando poi vediamo i lavori finiti, ogni tanto, ci arrivano anche delle critiche perché una frase è stata detta in un mondo piuttosto che in un altro. Quando è possibile, il direttore ci fa presente la domanda o la frase a cui noi dobbiamo rispondere e quindi possiamo anche incontrarci, altrimenti ci regoliamo semplicemente su quello che abbiamo o che hanno registrato in originale, cercando di essere i più fedeli possibili al lavoro primario.

Invece nel doppiaggio, in tutto ciò che si fa a sync, come i cartoni animati, telefilm, vediamo prima la scena, poi possibilmente la si prova, oppure se non si ha tempo si incide direttamente. Questo succede quando personifichi un personaggio da molte stagioni e quindi oramai lo conosci perfettamente, lì riesci ad aderire maggiormente rispetto a un’onda. In conclusione, percepire l’espressione del personaggio, vedere la reazione, osservare tutta la scena, esaminandone il dialogo, mi aiuta molto di più.

  • Quali sono i consigli che daresti a nuovi aspiranti doppiatori?

C’è sicuramente un consiglio che posso dare a tutti i giovani aspiranti attori, ossia di studiare, perché alcuni pensano che avendo una bella voce si possa lavorare come doppiatori, ma in realtà non è così, perché essere doppiatore vuol dire essere attori e il doppiaggio è una branca della recitazione. Quindi è fondamentale avere una dizione perfetta, aver studiato recitazione, anche perché questo è un lavoro molto tecnico, pertanto quando si è al leggio non bisogna preoccuparsi di come viene detta una parola, ma cercare di riproporre quello che sente l’attore e interpretarlo nella maniera in cui l’ha interpretata lui. Se queste cose non avvengono in maniera istintiva diviene molto difficile replicarle, inoltre adesso ci sono dei tempi molto stretti quando registriamo e quindi non c’è la possibilità di dare alle nuove leve il tempo per crescere, di conseguenza bisogna arrivare già molto preparati.

Poi l’importante è crederci perché comunque tante persone hanno cominciato addirittura con dei difetti di pronuncia, eppure sono riusciti a realizzare il loro sogno e sono andati avanti realizzando una brillante carriera. E per ultimo, ma non per questo meno importante, tanta umiltà, in quanto a volte vediamo dei ragazzi che vengono a fare dei provini e nel momento in cui siamo molto sinceri, spiegandogli quali sono i loro punti deboli, si arrabbiano e rispondono anche male, questo penso che sia il modo peggiore per cominciare a lavorare in quest’ambito.

  • Raccontaci qualche aneddoto sulla tua vita di doppiatrice e sul lavoro svolto per The Last of Us.

Riguardo al mio lavoro ne avrei a bizzeffe, perché essendo in quest’ambito da tanti anni ne succedono veramente di cotte e di crude; è un lavoro estremamente divertente, può essere faticoso, ma è un lavoro molto bello e molto appassionante. Ci sono dei momenti in cui ti prende la ridolera perché magari c’è una frase che non riesce a dire o una parola particolare che può avere un doppio senso, magari il direttore fa una battuta e quindi tu da quel momento non puoi più andare avanti, perché ogni volta che arrivi su quella determinata battuta scoppi a ridere, perfino quando c’è  qualche giovane doppiatore è capitato che magari si muovesse molto davanti al leggio e saltasse sbattendo il doppiatore a fianco o anche dandogli un cazzotto, pestandogli un piede. Capita che si faccia una battuta in presenza di alcuni colleghi molto simpatici, tra cui Claudio Moneta, con cui abbiamo fatto tantissime risate durante dei turni dove cominciano a parlare in napoletano, oppure inseriscono battute molto volgari sul personaggio che stanno doppiando andando perfettamente a sync e rendendo credibile quello che stanno dicendo.

Riguardo a The Last of Us, episodi particolari non ne ho, ma posso dire che è stato un lavoro molto interessante e a tratti anche commovente, perché il personaggio che interpreto io è una dottoressa che si trova a scontrarsi con quelli che sono i suoi ideali e la sua umanità, quindi lavorare come scienziata per cercare di salvare il mondo da questo virus e, al tempo stesso, far fronte a una promessa fatta a una madre nel proteggere sua figlia, che in realtà è la portatrice di questo virus, l’unica che da cui potrebbero estrarre un vaccino per salvare l’umanità. Ovviamente questo comporterebbe l’uccisione di questa ragazza e quindi lei si trova in momenti molto drammatici a dover battersi contro il suo lato etico e umano.

Un saluto a tutti i lettori di Videogiochitalia.it, alla prossima chiacchierata, a presto!

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