5 febbraio. Finisce la Global Game Jam 2023, un evento che ha riunito i cosiddetti jammer, ovvero developer, programmatori, artisti e designer di tutto il mondo con uno scopo particolare: 48 ore per creare un videogioco da zero. Tutto parte da un tema, unico e identico per ciascun partecipante fra le migliaia che provano a cimentarsi con il proprio team in questa sfida.
E poi via con il tour de force, che quest’anno è partito il pomeriggio di venerdì ed è terminato domenica, per un intenso weekend di creatività. Uno sforzo enorme che, è giusto sottolineare, non è da intendersi in maniera competitiva. Al contrario, la Jam è un momento di conoscenza e connessione umana, che permette ai partecipanti di incontrare nuove persone con cui collaborare, di mettersi alla prova e di sperimentare, soprattutto.
Questo reportage è stato scritto da Damiano D’Agostino e Simone Barbieri, con le foto di Marco Verdese e Cinzia Sparacino
Indice
Da più punti di vista
Nel mondo sono tantissimi i capitoli in cui avviene la Global Game Jam. Quest’anno abbiamo scelto di raccontarvela, con la nostra personale esperienza dallo spazio di coworking Toolbox, in cui si è svolta la Jam torinese. Tra il rumore della ferrovia in sottofondo e manipoli di rider che consegnavano cibo, centinaia di persone si sono fermate in loco per mettersi alla prova.
Non avremo soltanto testimonianze torinesi, come leggerete, ma siamo riusciti a raggiungere anche le organizzazioni di Bologna e Firenze, per capire quali sono state le differenze organizzative e gli approcci a questo evento. A Torino ci siamo interfacciati con Marco Mazzaglia, professore e Videogame Evangelist, e Tiziano Giardini, co-chairman di IGDA Italia. Ed è proprio IGDA Italia, capitolo italiano dell’International Game Developers Association, a essere stato promoter principale dell’edizione 2023 assieme alla scuola Event Horizon. In questo caso l’evento è stato unicamente in presenza.
Bologna ha potuto contare su due differenti jam, una organizzata proprio dalla sede locale della Event Horizon School, la seconda, invece, portata avanti dal developer Mario A. Di Bernardo e dal collettivo LemuRivolta. Ed è proprio a quest’ultima realtà che abbiamo rivolto alcune domande. Una realtà che ha mostrato per esempio una sostanziale differenza rispetto alla Jam torinese: non una manifestazione solo IRL (in real life), ma anche da remoto. E questa scelta è stata dettata dal lasciare a ogni partecipante la possibilità di approcciarsi alla Game Jam come meglio preferisce, visto che “ci sono persone che non se la sentono di stare in uno spazio sociale a lungo”, come ci risponde in merito LemuRivolta.
Infine abbiamo la Jam fiorentina (per l’esattezza svoltasi al Circolo Ricreativo Vingone a Scandicci). In questo terzo caso abbiamo parlato con Silvio Mattiello e Daniele Bonaiuti di ArcigaymerZ, gruppo ludico LGBTQIA+ friendly di Arcigay. Come indicato sulla pagina ufficiale della jam, per l’ingresso era in questo caso necessario essere in possesso della tessera Arci o Arcigay.
Una panoramica
Partiamo con il dire che, ovviamente, la Global Game Jam non è l’unico evento del genere. Di meet-up simili ne esistono tantissimi, sia virtuali che di persona. Ad esempio, su Itch.io ogni giorno ci sono Jam e meeting tra sviluppatori, con temi e linee guida caratteristici (su questa piattaforma, come vi avevamo raccontato, hanno il nome di Ludum Dare).
Inoltre, differentemente da eventi virtuali come appunto le sessioni su Itch, kermesse come quella di una GGJ (Global Game Jam appunto) hanno la particolarità di trovarsi in presenza. Questi sono una sorta di jam session musicale, ma con sviluppatori e sviluppatrici. I jammer (che si conoscano o meno), come fossero jazzisti di strada, si ritrovano per unire idee e abilità per la realizzazione, in questo caso, di un prototipo videoludico.
La Jam globale
E come fare a riunire migliaia e migliaia (e aggiungiamo altre migliaia al conteggio) di persone appassionate o legate allo sviluppo di videogiochi di tutto il mondo in un unico luogo?
Beh, immaginate tante piccole tane e ritrovi, capannoni, magazzini, centri congressi e chissà che altro che, nello stesso momento, da ogni angolo del pianeta, iniziano a brulicare di vita, che sia fisica o digitale. Dalla Siberia al Brasile, dalla California all’India passando per Europa e Africa. Persone di ogni dove vogliono creare e si ritrovano a farlo, tutte insieme, contemporaneamente, due giorni all’anno.
Il tema
Come accennavamo, questo lavorone, già di per sé sfiancante per la maggior parte dell’umanità, viene complicato, o in realtà reso ancora più divertente e creativo da un vincolo non da poco.
Che siate studenti torinesi o sviluppatrici tedesche, il tema su cui bisogna incentrare il proprio videogioco è il medesimo. E questo tema viene rivelato solo all’avvio della Global Game Jam, e così è stato anche per l’edizione 2023. Più o meno, in realtà.
GGJ 2023 e pandemia
La pandemia da COVID-19, sebbene facciamo abbastanza finta che ce la siamo lasciata alle spalle, c’è ancora. E non sono pochi i paesi in cui il lockdown e le quarantene sono ancora all’ordine del giorno. Come ci ha raccontato l’organizzatore torinese Marco Mazzaglia, proprio per i disagi pandemici ancora in corso in diverse parti del mondo, e che non hanno quindi un evento fisico a loro disposizione, la direzione internazionale ha scelto di rivelare il tema il 30 gennaio.
Le regole del gioco
Alla radice
Lo abbiamo appena detto, uno dei vincoli principali del gioco è l’avere un unico tema da seguire, come quello di quest’anno, che è stato roots, in italiano radici. Un tema apparentemente specifico quanto allo stesso tempo potenzialmente molto generico e vasto. A cosa avete pensato voi? Le radici degli alberi? Oppure quelle dei capelli o dei denti? Oppure siete andati sul metaforico con radici storiche, etniche o familiari?
Insomma, un tema ricco e creativamente quasi inesauribile. E infatti i team di developer (veterani e improvvisati) della Global Game Jam, nel nostro caso di Torino, Bologna e Firenze, non ci hanno delusi. Non sono mancate piccole bellezze inaspettate.
I vincoli aggiuntivi: i diversificatori
Totalmente facoltativa è stata poi l’aggiunta di ulteriori vincoli, paletti che un team poteva scegliere di imporsi per rendere la sfida ancora più divertente.
Questi vincoli, i diversifiers, sono di varia natura. Si va dall’aggiungere al proprio gioco un “momento che possa essere ricordato da chi giocherà”, inserendo dunque elementi di forte impatto (come jumpscare), al dare alla luce un web game che ricordi gli ormai vetusti flash game, ma con l’aggiunta di meccaniche ed elementi assolutamente contemporanei. E questi sono solo due diversificatori, ma sono decine quelli disponibili: creare un gioco con finali multipli, oppure un videogame che sfrutta le espressioni facciali dell’utente come input, o ancora l’aggiunta del multiplayer, l’uso di giroscopi e accelerometri.
Vincoli, certo. Ma in fondo anche spunti di ispirazione cruciali nelle fasi di brainstorming, forse la più complessa e sottovalutata. Il rimettere in ordine le idee, decidere cosa inserire nel proprio gioco e cosa lasciare fuori. A Torino c’è stato chi è rimasto sopraffatto dalla montagna di idee. Dopo ore di agonia e indecisione, hanno scelto di fare un gioco proprio su questo.
Quali strumenti utilizzare?
Al di là del fatto che durante il contest si potevano creare anche giochi da tavolo e di carte, è stata data anche totale libertà per quel che riguarda strumenti e periferiche necessari a giocare al videogame finale.
Immaginate dunque team che potenzialmente potevano creare titoli su PC o in forma di browser game, o ancora su Nintendo Switch o altre console moderne, fino a VR o retroconsole. Ad esempio, il videogioco Mandragora, sviluppato durante questi due giorni, è stato realizzato con Pico 8, un game engine che permette di creare giochi in 8 bit e dando, quindi, un tono retrò anni’80 alla propria opera. Insomma, le strade praticabili per realizzare il proprio prototipo sono tantissime e ci si può sbizzarrire con la fantasia.
Le squadre
Momento fondamentale, non solo per le mere regole del gioco ma anche per lo spirito aggregativo, è quello della divisione in squadre. Fra chi è venuto apparecchiato da casa, con il suo team di sviluppo già bello formato, c’è stato anche chi invece è venuto non allo sbaraglio, ma comunque in solitaria. Abbiamo assistito a questo momento un po’ in stile “formazione delle squadre di palla avvelenata durante educazione fisica”, in cui c’erano artisti, sound designer, programmatori e game designer che rimbalzavano da un lato all’altro della sala principale della Toolbox per riuscire a formare, o a trovare, un team.
E purtroppo non tutti i team sono riusciti ad avere un pool completo che contenesse ogni figura professionale che fosse utile. Eppure questo ha finito per essere in molti casi un valore aggiunto. Come ci hanno raccontato un paio di jammer, di professione game designer, la GGJ 2023 è stata anche un’occasione per sperimentare, mettersi alla prova e imparare in ambiti dai quali di solito si tengono alla larga (per inclinazione personale o per mancanza di opportunità).
Cronache dalla Global Game Jam di Torino 2023
Dunque Torino 2023, dal 3 al 5 febbraio. Più di due giorni di tuffo nell’universo ludico, in un’atmosfera hardcore. Un hardcore buono, passateci l’espressione, in cui l’unica cosa che abbiamo respirato è stata una passione estrema e assolutamente viscerale per il videogioco.
Le conferenze prima della GGJ
E questi scopi, gli obiettivi della Global Game Jam come processo collettivo che riunisce le molteplici galassie di developing di tutto il mondo, hanno trovato il loro spazio durante le talk, le conferenze che hanno anticipato il reveal del tema di quest’anno.
Nella sala principale di Toolbox ha trovato così spazio il già citato Marco Mazzaglia, che con qualche digressione sulla storia dei videogiochi ci ha introdotto al mondo delle jam e nello specifico alla sua versione torinese. Poi si sono succeduti i due co-chairman di IGDA Italia. Prima Tiziano Giardini e subito dopo Jami Salati (game designer in Ubisoft Milan), quest’ultimo con un intervento sul mondo dello sviluppo di videogiochi e alcune sue criticità.
È stata poi la volta dell’altrettanto interessante talk di Tobia Giani di AIKO Space (sponsor ufficiale di quest’anno di Jam), che ha invece parlato dell’applicazione di tecnologie storicamente utilizzate nel mondo del gaming al campo dell’esplorazione spaziale. Andrea “Roccia” Silba, insegnante della Event Horizon School soprannominato così perché ha modellato sassi per i primi sei mesi della sua carriera nella game industry, ha introdotto invece le varie figure che sarebbero state utili durante il contest. E a chiusura abbiamo avuto un intervento un po’ più scanzonato grazie a Tommaso Verde (designer di Garden in!) e Davide Cavuoto (designer a Ubisoft Milan), con l’esposizione di un manuale di sopravvivenza, comportamento e convivenza durante il periodo della Jam.
E se a Torino non sono mancati molti interventi interessanti, Bologna non è stata da meno. In live online, hanno così potuto rispondere alle domande di LemuRivolta varie personalità e gruppi della scena videoludica. Hanno fatto la loro comparsa Simona Torre Maiorano, scrittrice, game designer e co-fondatrice di Game Art Dev, e Pietro Polsinelli, di cui vi abbiamo parlato recentemente per il suo lavoro su Roller Drama. Oltre a questi, c’è stato il duo di FaberLudum (che si occupa di game design) e La Gilda del Cassero, associazione ludica LGBTQIA+ friendly della città di Bologna.
I luoghi e i numeri
Questa Jam sabauda ha visto come luogo d’elezione un edificio di coworking, Toolbox, che ha permesso ai tantissimi partecipanti alla Global Game Jam di Torino di avere abbastanza spazio. Riguardo questo, Mazzaglia ci racconta come l’aver scelto questo sito sia stata quasi una scelta ovvia perché, con questo spazio, nel corso degli anni, “abbiamo costruito una vera e propria partnership”. Il motivo è che in questa sede ci sono abbastanza sale e attrezzature per permettere ai molti team di avere ciò di cui avevano bisogno. E ce n’era bisogno.
Infatti, stando alle indicazioni sulla pagina ufficiale della GGJ torinese, i jammer registrati sono stati 185. E attenzione: a Torino l’evento è stato solo in presenza presso Toolbox, con i suoi corridoi letteralmente invasi dai jammer, come vi avevamo già accennato. Eppure ogni team ha potuto ritagliarsi il proprio spazio, non senza che vi fossero team nomadi o suddivisi in gruppi più piccoli di lavoro, così da trovare aiuto in jammer più esperti oppure essere in grado di aiutare chi ne avesse bisogno.
Scene di vita quotidiana
Visto che non si vive di solo sviluppo di software, non ci è sfuggito di vedere team che si alternavano nell’utilizzo degli spazi-cucina di Toolbox, alternando una digitata sulla tastiera a una forchettata di pasta, per poi fare a turno per lavare i piatti.
Oppure l’immancabile passaggio al bagno per lavarsi i denti, perché sopratutto durante una Game Jam l’igiene orale, e l’igiene in generale, sono importanti. E poi la serie di “buongiorno” che ogni mattino si levava copiosa fra chi era riuscito a farsi almeno 7, se non addirittura 8 ore di sonno, e chi invece aveva fatto la famosa nottata. Per riuscire a sopravvivere, è diventata indispensabile qualche capatina alle macchinette del caffè, sorta di punto di ritrovo per staccare sì la spina, ma anche per scambiarsi idee e consigli.
Global Game Jam di ordinaria follia
Potremmo dire di aver visto cose che voi umani eccetera eccetera. Ma, come ci hanno raccontato da più parti, jammer alle prime armi e veterani del settore, è anche il bello di eventi del genere.
Andiamo dal grande classico: lo smodato consumo di caffeina e bevande energetiche per poter fare a pugni con la stanchezza. Ma alcuni racconti e scene sono decisamente più interessanti e divertenti. C’era chi dormiva comodamente sul proprio materassino gonfiabile, ma con a fianco il PC, caso mai ci fosse qualche elemento da implementare durante il sonno. E via a cercare un posto per dormire, portatile sotto un braccio e sacco a pelo in spalla. Fino a corpi spiaggiati su tappeti di moquette, giacche buttate sulla faccia come unico riparo dal mondo e dal game design. Ma questa è solo la superficie. Con i pizzaioli della zona che hanno avuto un incremento sostanziale del lavoro durante il weekend, il cibo spazzatura è stato poi un’altra costante.
E c’è chi ha trovato modi ingegnosi per creare il proprio gioco. Hai bisogno di un urlo per uno dei tuoi personaggi e non sai come realizzarlo al meglio, però utilizzare un asset gratuito preso da internet è troppo mainstream? L’unica soluzione è fare delle prove di registrazione in loco. In mezzo alla strada. Alle due di notte. Se invece ti annoi a scrivere una striscia di codice dopo l’altra, fortunatamente hanno inventato i servizi di streaming: un occhio sullo schermo di lavoro, uno su Top Gear (o un programma simile, ammettiamo la nostra ignoranza).
Global Game Jam e crunch time
Ci si lasci una piccola riflessione. Sviluppare un videogioco in 48 ore non è un’impresa semplice, ma alla fine ai partecipanti viene spesso ribadito di non consegnare qualcosa di perfetto, ma pensare per lo più ad un prototipo e a stare bene.
D’altronde, Il progetto sviluppato durante una Jam può essere rifinito e aggiustato in seguito. Il rischio di crunchare per tutta la durata dell’evento è però significativo, fra privazione del sonno e abuso di caffeina. Al di fuori della Game Jam, il crunch è una piaga dell’industria videoludica, un problema endemico difficile da sradicare e che ha messo le sue radici, appunto, sin dalla nascita dell’industria tech. Per cui potrebbe saltare alla mente un parallelismo fra lo svolgimento della GGJ e il crunch time che vediamo nelle più classiche software house. Secondo Marco Mazzaglia questo rischio non c’è, poiché “questo non è un evento che racconta la game industry nell’accezione del crunch”. “È un evento in cui si decide di affrontare un percorso creativo completamente liberi da ogni vincolo economico, che è il vincolo invece che ha il crunch time, che è un vincolo per il profitto. Qui gli unici vincoli che abbiamo sono legati alla creatività e all’imparare qualcosa” conclude.
Secondo il collettivo LemuRivolta, che ha organizzato il capitolo bolognese, il rischio di associare la Game Jam al crunch invece c’è. Il collettivo, infatti, ci ha raccontato di essersi attivato scegliendo di dare “orari di apertura e chiusura evento che dessero almeno nove ore di libertà e sonno, togliendo la possibilità di fare nottata. È una scelta ragionata proprio per favorire un recupero sano. Abbiamo ribadito la cosa durante la presentazione del tema di fare pause, di godersi il sole: l’obiettivo non è fare una cosa perfetta, è star bene”.
“Il ‘pericolo’ che l’evento venga frainteso nel senso di una performatività eccessiva è sempre dietro l’angolo” ci dicono invece Mattiello e Bonaiuti di ArciGaymerZ dell’edizione fiorentina. Secondo loro non è sempre possibile prevedere l’attitudine di chi partecipa e molto dipende “dalla comunicazione che viene proposta e dal clima di sviluppo che viene creato”. “Crediamo che sia importante responsabilizzarsi e responsabilizzare rispetto alle potenzialità umane dell’evento: introdurre ai valori di inclusività, rispetto, sicurezza e divertimento già dalle prime parole, proporre un linguaggio ampio, stimolando la passione piuttosto che la ‘professionalità’, esaltare gli slanci e le idee piuttosto che l’efficienza, moderando i personalismi attraverso un tutoraggio attento” concludono.
La Global Game Jam è un’occasione?
Sicuramente, com’è stato detto da più parti durante le talk iniziali, la versione sabauda della Global Game Jam è utile a mostrare la vivacità torinese in fatto di nuovi team di developer. Oltre a ciò, può servire tantissimo anche a creare networking fra vari creator e artisti, oltre che con software house e publisher. Dunque può portare anche (non è obbligatorio o scontato, ma può succedere) a inaspettate possibilità lavorative che vadano oltre il mero farsi notare.
Mazzaglia crede fermamente nella possibilità di una GGJ che vada verso l’essere una valida occasione lavorativa. “C’è una sensibilità – ci racconta – che si sta creando nell’ambito industriale e informatico torinese. perché alla fine della fiera tutti si lamentano che non si trovano sviluppatori, e poi le risorse le puoi trovare alla Jam. Persone molto in gamba e che in differenti ambiti decidono di trascorrere tre giorni a creare un progetto proprio. Queste persone, come si dice, hanno una marcia in più”.
E infatti, a prescindere da potenziali sbocchi lavorativi, una Jam del genere, soprattutto se organizzata con questi grandi numeri, può essere un ottimo momento in cui sviluppare le proprie capacità e imparare in quegli ambiti in cui non si è troppo ferrati.
Da Bologna e Firenze
LemuRivolta e ArciGaymerZ ribadiscono come principale il concetto dell’occasione secondo l’aspetto sociale e umano. Il collettivo bolognese specifica che dal punto di vista della possibilità di sbocco lavorativo, ciò dipende dalla sede in cui si svolge l’evento. Per loro, infatti, la jam è uno possibilità per esplorare se stessi e le proprie capacità, di lavoro in team e conoscere gente nuova. Lo stupore arriva chiaramente la domenica sera, ci raccontano, in cui si consegna e si prende consapevolezza di aver fatto un gioco da zero.
Mattiello e Bonaiuti di ArciGaymerz inquadrano inoltre la jam dal punto di vista dei rapporti sani di lavoro. “Organizzare una GGJ ha significato prima di tutto proporre uno spazio in cui incontrarsi, creare e divertirsi in modo inclusivo e sicuro, al di fuori di ogni tipo di stress e competizione. Questi sono i valori che portiamo avanti in ogni attività che proponiamo e il nostro sforzo organizzativo si è concentrato su questo. Per noi la GGJ è prima di tutto la possibilità di fare rete tra le persone, di conoscere persone nuove, confrontarsi e condividere una passione”.
Un mondo di Global Game Jam
Quello che abbiamo voluto proporvi oggi è stato solo uno spaccato dell’universo videoludico. Una frazione di quello che succede in quella galassia di sviluppo e produzione di videogiochi che parte dal basso. Un frammento di mondo virtuale e reale. L’underground che si risveglia per innovare. Abbiamo raccontato due giorni nella vita di centinaia e migliaia di persone. Persone che però, finita la Global Game Jam 2023, continuano a digitare stringhe di codice, continuano a disegnare, continuano a registrare suoni, continuano il lavoro di polishing. Ora dopo ora, giorno dopo giorno.
Una sorta di jam session videoludica continua, seppur meno visibile dei lavori delle grosse aziende o di eventi come questi, da cui magari nasceranno titoli decisamente meno noti del tripla A di turno. Ma non per questo fatti con meno passione. E anzi, forse nati ancor di più dall’amore, visto che questo molto spesso è il loro unico motore.