Marco Gelmetti nasce a Cremona nel 1973, mostrando fin da adolescente una particolare predisposizione per l’arte e, una volta laureato in ingegneria elettronica a Pavia, può dedicarsi in maniera più incisiva sia alla scrittura che all’arte poetica. Appassionato di musica e di videogiochi, inizia a scrivere il romanzo “Replay” nel 2007, per poi completarlo solo nel 2013, a detta dell’autore stesso, «grazie a uno sfoggio di lentezza e indolenza di cui pochissimi esseri umani sono capaci». Il romanzo è in fase crowdfunding sul sito bookabook.it e, una volta raggiunta la soglia delle 200 copie preordinate (attualmente la campagna è già all’86%), verrà spedito a tutti coloro che hanno contribuito al conseguimento dell’obiettivo prefissato, per poi essere distribuito in varie librerie. Prima di procedere con l’intervista, scopriamo la sinossi del romanzo in questione.
Replay
J ha trentaquattro anni, vive a Milano e il suo sogno di fare il musicista è a un passo dal naufragare. Il suo è un mondo costruito meticolosamente per proteggersi dal diventare adulto, fatto di serate al bar con gli amici, scontri sovrumani a calcio balilla e partite ai videogames. Un romanzo pop-rock che racconta in modo leggero di come il rifiutare l’età adulta non sia sempre e solo un atteggiamento immaturo, ma possa essere anche la reazione inevitabile verso una società in cui è impossibile riconoscersi.
- Sappiamo che stai scrivendo il romanzo “Replay”, che miscela tre ingredienti come i videogames, il calcio balilla e l’amore. Come riusciranno ad amalgamarsi fra di loro?
Innanzitutto, grazie per l’invito, “Replay” è un mix di questi tre ingredienti, che sono appunto i videogames, il calcio balilla e l’amore, perlomeno il ricordo di un amore passato. La storia di “Replay” è quella di J, un ragazzo sulla soglia dei 35 anni, età in cui si dovrebbe, normalmente, cominciare ad essere più emancipati. Quello di J invece è un mondo costruito molto meticolosamente per stare al riparo dalle responsabilità. Un mondo fatto di serate al bar con gli amici, scontri epici col calcio balilla e partite ai videogames. Non ci sarebbe nulla di male in questo modo di vivere, se non ché J sia un ragazzo che pensa molto, forse troppo, e ha una predilezione per pensare al passato e certi ricordi che rimangono impressi nella mente. Questo tipo di pensieri sono un po’ pericolosi perché, se non vengono elaborati, rischiano di smettere di raccontare la verità e di cominciare invece a raccontare quello che vogliamo sentirci dire ed è un modo per rimanere in qualche maniera impantanati, non riuscendo ad andare avanti. In questo gioco mentale J crea 3 fantasmi nella sua mente, cristallizzandoli in Luna, la sua bellissima ex ragazza dei tempi dell’università, Skorpio, suo Rivale storico del calcio balilla che ha stracciato J all’ultimo torneo, e Garius, entità oscura di un videogioco di nome Dragon Nights, che J sta cercando di battere da settimane, ma non riesce in nessun modo, tanto da considerarlo immortale. Nel ponte del primo maggio, J aveva organizzato di passare alcuni giorni di relax da solo, tuttavia, a suo malgrado, viene coinvolto in questa spirale di eventi che lo costringono ad affrontare questi suoi fantasmi mentali. Il romanzo è alquanto leggero, qualcuno l’ha definito anche pop-rock: perché intriso di musica, infatti, J è anche musicista o perlomeno aveva in progetto di diventare tale. Una storia che racconta anche qualcosa di un po’ più serio, perché mostra di come non voler affrontare l’età adulta non è sempre solo un sinonimo di immaturità, ma a volte sia anche una reazione naturale nei confronti di una società in cui non ci riconosciamo.
- Quali sono i motivi che ti hanno spinto a raccontare al pubblico con il romanzo “Replay” di un media come quello dei videogiochi spesso giudicato controverso e poco considerato dall’opinione pubblica?
“Replay”, essendo un’opera prima, come quasi tutte le opere prime, potrebbe essere considerato tranquillamente autobiografico. Nel caso del mio romanzo, la veridicità dei fatti è costituita da una percentuale vera e da una percentuale architettata. Per quanto riguarda l’aspetto più realistico della vicenda, credo non ci siano dubbi su quali possano essere gli elementi di natura autobiografica; invece, per gli aspetti immaginari ve lo spiego così: chi guarda molti film, chi legge molti libri o chi gioca molti videogiochi è abituato a vivere molte storie, al punto che, nel momento in cui vive qualcosa per davvero, lo considera come una delle possibili versioni della realtà, probabili ramificazioni temporali o a tantissimi altri modi in cui potrebbe essere andata. Questo per dire che nel mio romanzo un po’ tutto potrebbe essere considerato verità e quindi inevitabilmente ci sono cascati dentro i videogiochi, perciò non è stata una scelta particolarmente coraggiosa né tanto meno una scelta razionale. La tua domanda poteva forse essere letta in un altro modo, cioè: Marco Gelmetti, non avresti potuto evitare di parlare dei videogiochi all’interno del tuo romanzo? Beh, allora sì, in questo caso la scelta è stata molto curata e a questo proposito cito David Foster Wallace che diceva: “Dentro la cultura Pop si trovano dei messaggi a volte interessanti, molto profondi”. Quando partecipai con “Replay” al premio Calvino, uno dei premi per autori esordienti tra i più importanti d’Italia, fui tra le 17 opere segnalate in quell’anno tra centinaia di partecipanti e al tempo stesso rappresentato con la seguente motivazione: “Per il gusto post-moderno con il quale viene illustrato il mondo mentale di un trentenne”. La cosa mi fece particolarmente piacere, perché significava che, un romanzo come il mio che parlava di videogiochi e calcio balilla, fosse stato preso in considerazione.
- Parlaci un po’ della tua vita da videogiocatore, quali sono stati i momenti più belli e indimenticabili, quali sono quelli che ricordi con più piacere?
Qui la lista è abbastanza lunga, non ti dico che ho cominciato a giocare ai videogiochi dai tempi di Pong, ma poco ci manca. Ho questo ricordo vivissimo di me e mio fratello che entravamo in un bar in compagnia di nostro padre e ci trovavamo davanti il coin-op di Blackout. Ecco, in quegli anni i videogiochi che ricordo con più piacere sono sicuramente Hypersport Olympic, chiamati volgarmente “Olimpiadi”, poi giochi a scorrimento orizzontale come Golden Axe e Double Dragon, che giocavo sempre col mio fido compagno di sala giochi, poi ovviamente Bubble Bobble o Tetris. Quegli anni sono stati, secondo me, la vera Golden Age dei videogames, gli anni che vanno dal ’75 all’’85 sono paragonabili alla decade precedente per il Rock’n’Roll, sono stati anni di assoluta sperimentazione di grandissime idee. Negli anni ‘90 c’è stata un’altra bella età in cui sono usciti incredibili capolavori, ma soprattutto si sono codificati molti generi a cui giochiamo ancora oggi, come gli FPS, RTS, punta e clicca e via dicendo. Se devo citare invece qualcosa di più recente, anche per non passare per la vecchia cariatide che parla solo del passato, ci sono due giochi bellissimi che mi hanno stregato, che sono The Last of Us e Horizon: Zero Dawn; per certi versi anche molto simili come genere, li reputo giochi straordinari perché sono l’alchimia perfetta tra una sceneggiatura di alto livello, una bellissima ambientazione e un gameplay praticamente perfetto, soprattutto quello di Horizon Zero Dawn.
- Ti ringraziamo per la disponibilità, ma prima di andare vorremmo sapere qualche aneddoto curioso sulla tua vita da scrittore e da videogiocatore.
Ti racconto un piccolo retroscena del romanzo che mette insieme la parte videoludica e la scrittura: “Replay” nasce come un piccolo racconto di un ragazzo che sta giocando ad un videogame contro un boss finale che, come tutti i boss, non vuole morire facilmente. Era la mia storia personale, in quanto stavo giocando a Neverwinter Nights 2 di Obsidian e c’era appunto questo cattivo che non riuscivo ad uccidere. Poi il racconto ha cominciato a prendere un’altra piega, decisamente più complicata, aggiungendo al tempo stesso delle tematiche non previste; in pratica stava diventando un romanzo. A circa metà della scrittura, mi sono trovato per le mani un “cattivo” che non era quello che volevo io, perché avevo bisogno di un’antagonista molto terrificante, quasi horror, perché doveva rappresentare la parte negativa della mente del protagonista. Mi sono ritrovato per le mani invece questo cattivo originale da Neverwinter Nights 2, che era un mago ma niente di che. Si chiamava Bata ed era una lucertola gigante, quindi ad un certo punto ho capito che questa non era la strada giusta, decidendo di riscrivere quelle parti. Decisi di sostituire il nome Bata con Garius, che è in ogni caso è un personaggio di Neverwinter Nights 2.
Classe 93, dall'animo nerd, da sempre appassionato del mondo videoludico. Alcune leggende sostengono sia nato con un controller in mano. Negli anni scopre di avere una particolare predisposizione per le interviste. Odia più di ogni altra cosa la console war.