In questa intervista abbiamo avuto il piacere di parlare con Francesco Cavalieri, voce solista e fondatore del gruppo metal italiano Wind Rose.
In occasione del loro prossimo album, Trollslayer, in uscita il 4 ottobre, abbiamo avuto modo di approfondire le ispirazioni artistiche di questo lavoro, oltre a parlare dell’ispirazione del loro singolo Rock And Stone, un vero e proprio omaggio al videogioco Deep Rock Galactic.
Abbiamo ripercorso anche la carriera della band, scoprendo aneddoti e retroscena dietro il lavoro dei musicisti e dietro brani celebri e collaborazioni, parlando anche di qualche idea per il futuro. Francesco è un fiero giocatore come noi ed è stato un piacere chiacchierare insieme in questa intervista.
Chi sono i Wind Rose
I Wind Rose sono una band italiana appartenente al genere power metal nata nel 2009 a Pisa. Il loro stile musicale si ispira al fantasy e all’epica con una particolare enfasi sulla mitologia e il folklore, specialmente quello tolkieniano.
La band è composta da 5 membri: Francesco Cavalieri (voce), Claudio Falconcini (chitarra, voci secondarie), Federico Meranda (tastiera), Cristiano Bertocchi (basso) e Federico Gatti (batteria).
Uno degli aspetti più caratteristici della band è il loro tema visivo, i membri della band si vestono come nani delle saghe fantasy, richiamando il mondo e il popolo di Durin de Il Signore degli Anelli e anche del mondo di Warhammer e le loro performance riflettono questo stile.
Uno dei loro album più famosi è Wintersaga , che contiene il singolo Diggy Diggy Hole, una reinterpretazione in chiave metal di una famosa canzone di The Yogcast, nata all’interno della community di giocatori di Minecraft.
In totale, compreso l’ultimo in uscita, hanno pubblicato 6 album: Shadows over Lothadruin, Wardens of the West Wind, Stonehymn, Wintersaga, Warfront e Trollslayer.
Il nuovo album Trollslayer
Trollslayer è l’ultima fatica della band, il loro sesto album è disponibile a partire dal 4 ottobre 2024. Proprio da questa data partirà il tour che li vedrà poi impegnati in giro per tutta Europa, il più grande al quale hanno partecipato sinora, con Powerwolf e Hammerfall.
Tra i vari brani disponibili all’interno dell’album Trollslayer, troviamo Rock And Stone, ispirato allo shooter Deep Rock Galactic. Il videoclip del singolo è già disponibile online su YouTube.
I protagonisti di questo videogioco sono una squadra di nani spaziali che lavorano per la compagnia mineraria Deep Rock Galactic e che devono esplorare un pianeta ostile chiamato Hoxxes IV. Questo pianeta è ricco di risorse preziose, ma è anche pieno di creature pericolose.
Intervista a Francesco Cavalieri dei Wind Rose
Ringrazio Gabriele Mucignat. responsabile di Videogiochitalia.it, per essersi offerto ad aiutarmi a scrivere alcune domande dell’intervista, essendo esperto di musica e al tempo stesso fan dei Wind Rose.
Come nasce la band e il suo immaginario sui nani
- (Antonello) Parliamo un po’ della genesi della band, come è nata e come avete deciso di unire il tema dei nani al vostro stile power metal? Quanto è importante per voi la componente visiva, tra costumi, scenografie e aspetto generale?
Riassumere 15 anni di vita non è semplice, ma proverò a descrivere i passi fondamentali, grandi e piccoli, che sono stati decisivi per noi. Nel 2009, io, il chitarrista e l’ex batterista dei Wind Rose, insieme ad altri membri, facevamo parte di una scuola di musica nella nostra città. Un giorno mi contattano e mi dicono: “Abbiamo bisogno di un cantante per alcune date in Germania“.
Così rispondo: “Va bene, posso venire. Qual è il repertorio?”. Mi rispondono che si trattava di progressive metal, quindi roba come Dream Theater o anche Power Metal, tipo Blind Guardian e Symphony X. A quel tempo non ero molto esperto di progressive, poiché ascoltavo principalmente power metal, hard rock e metal degli anni ’80.
Chiesi al gruppo di portare con noi anche il tastierista e così andai a cantare con loro. Tutto è nato, diciamo, da uno scambio di membri tra band. Una volta entrato nella band, che all’epoca era una cover band, mi accorsi subito che questi ragazzi avessero talento, nonostante fossero più giovani di me: avevano tutti tra i 16 e i 17 anni. Nonostante l’età, erano già molto esperti e talentuosi.
A quel punto dissi loro: “Ragazzi, dobbiamo fare qualcosa di serio!”. Così iniziò la fase di composizione, e nel 2012 uscì il nostro primo disco, con un’idea progressive-power ispirata al Signore degli Anelli e musicalmente influenzato dai Blind Guardian.
Questi sono stati i primi passi: abbiamo iniziato a giocare le nostre carte. L’idea fin dall’inizio era quella di essere una band seria, capace di costruire qualcosa con la musica. Ci sono stati diversi cambi nella line-up, perché non è facile trovare cinque pazzi come noi disposti a scommettere tutto su un progetto musicale.
La maggior parte di noi proveniva da un contesto operaio: due membri sono diventati ingegneri, altri erano operai, e io stesso lavoravo in fabbrica. Finivo di lavorare alle 7 di sera e andavo in studio a scrivere e registrare, sera dopo sera, per almeno 10 anni.
Non è stato facile trovare persone che mettessero la musica al primo posto nella loro vita. Io ero il visionario del gruppo, quello che diceva sempre: “Ragazzi, ce la dobbiamo fare! La vita è una sola e non voglio arrivare a 60 anni e pensare ‘E se avessi fatto questo o quello?’. I rimpianti non fanno per me, è meglio sbagliare tutto ma provarci”. Questa è sempre stata la mia filosofia di vita.
Venendo da una famiglia di operai, senza soldi né aiuti, cresciuto dai miei nonni, sapevo che senza un cambiamento sarei diventato molto probabilmente un operaio. Con tutto il rispetto, non era la vita che volevo. Io volevo fare musica e sapevo di avere solo una possibilità. Così ho dato tutto per arrivare fin qui.
Per quanto riguarda l’immagine della band, oggi è fondamentale. Con il mondo dei social hai solo 3 o 4 secondi per catturare l’attenzione di qualcuno. Se non ci riesci, passano oltre. La musica, invece, ha bisogno di più tempo per essere apprezzata. Ci vogliono almeno dieci secondi per entrare in sintonia con una canzone. Quindi, dovevamo creare un impatto visivo immediato che catturasse l’attenzione e facesse restare le persone ad ascoltare la nostra musica.
La scelta dei nani è nata dal nostro secondo album, dove abbiamo scritto una canzone intitolata The Breed of Durin (NdR tradotto: La stirpe di Durin). Quella canzone aveva un gusto e una tessitura completamente diversi rispetto al resto dell’album, e ci siamo detti: “Questa è la cosa più originale che abbiamo creato”. Così abbiamo cercato di replicare quella magia.
Dal 2015, con The Breed of Durin, fino al 2017, abbiamo approfondito quello stile che poi è stato nominato “Dwarf Metal“. Nel 2017 è arrivato il nostro primo successo internazionale con To Erebor, e a quel punto la gente ha iniziato ad associarci ai nani, anche se delle nostre canzoni non parlavano di loro.
Tuttavia, con il quarto album Wintersaga, abbiamo abbracciato pienamente questo tema, ed è stato anche il nostro primo disco con Napalm Records. È stato l’album che ci ha portato al successo.
L’identità del Dwarf Metal
- (Antonello) Come nasce la definizione di Dwarf Metal?
Negli ultimi 10-15 anni, ci sono state diverse correnti musicali. Per esempio, se c’era una band che faceva musica sui pirati, veniva chiamata Pirate Metal, se un gruppo faceva musica sui vichinghi, era Viking Metal. Noi siamo stati semplicemente una conseguenza di questo modo di etichettare i generi: Dwarf Metal. Alla fine, se ci pensiamo bene, è davvero un derivato del Viking Metal e del Power Metal.
Però, a mio avviso, magari mi sbaglio, non ho trovato altre band al mondo che abbiano delle sonorità simili a quelle dei Wind Rose. Quello che facciamo può piacere o meno, ma molte persone ci dicono: “Ogni vostra canzone sembra un ritornello!”. Questo perché le canzoni sono sempre cantate da un gruppo di voci, come se fossero un gruppo di nani. Ecco, le voci che sentite nei nostri dischi, sono tutte le mie: sono io che faccio tutti i cori. Avendo studiato canto lirico, mi piace aggiungere cori drammatici e gloriosi, molto epici.
Poi c’è un altro ragazzo che si occupa delle parti più basse, è un baritono basso, mentre io sono un baritono, ma più vicino a un tenore, quindi riesco a salire abbastanza in alto come estensione vocale. Lui invece copre le parti più basse.
Questi piccoli dettagli, secondo me, rendono riconoscibile una nostra canzone fin dall’inizio. È questo ciò che mi rende più orgoglioso, perché trovare la propria unicità, è una delle cose più difficili in un mondo in cui sembra che tutto sia già stato fatto. Ecco, parliamoci chiaro. Sicuramente, la cosa di cui vado più fiero è aver trovato la nostra dimensione musicale.
Diggy Diggy Hole e il suo incredibile successo
- (Antonello) Diggy Diggy Hole è diventata un inno per i vostri fan. Come avete deciso di fare una cover di questa canzone e vi aspettavate che diventasse così popolare?
Sicuramente siamo molto affezionati a questa canzone. È stata, per noi, quello che spesso succede a molte band: fanno una cover e diventano famose proprio grazie a quella. Tuttavia, ci sono tantissimi casi in cui il successo si ferma lì, non va oltre quella cover e questo è un po’ triste nella maggior parte dei casi.
Nel nostro caso avevamo delle buone carte da giocare. Avevamo una grande esperienza alle spalle: quando il successo è arrivato, non eravamo più ragazzini di vent’anni. Era già da 10 anni che facevamo tour e suonavamo insieme, quindi eravamo pronti per affrontare questa situazione.
La fortuna è stata avere una canzone che ha acquisito una viralità completamente imprevedibile. Sapevamo che sarebbe stata un successo, almeno non di queste proporzioni. Infatti, siamo finiti anche sulla BBC, o su un’altra grande emittente americana, addirittura al telegiornale, dove hanno parlato del grande successo del gruppo italiano, non ricordo quale fosse esattamente l’emittente televisivo.
La canzone originale è stata creata dagli youtuber inglesi di Bristol e aveva già fatto una cinquantina di milioni di visualizzazioni. Essendo legata sia al mondo dei nani e sia a quello dei gamer, quindi alla comunità nerd come noi, la scelta di farne una cover è stata quasi obbligata. L’abbiamo fatta e ha funzionato benissimo.
Personalmente, credo che ci abbiamo messo molto del nostro. Abbiamo investito tempo nei suoni e nella produzione: lo speciale orchestrale, che nell’originale non c’era, è secondo me molto bello. Abbiamo messo la formula dei Wind Rose dentro quella canzone. È un po’ la traccia che ci ha fatto da rampa di lancio per entrare nel mondo della musica internazionale di alto livello, nella Serie A, per così dire. Quando siamo entrati nella Napalm Records, eravamo già in pole position grazie a questa canzone.
- (Antonello) Quando siete sul palco, c’è qualche canzone che vi emoziona o carica particolarmente rispetto ad altre?
Sinceramente, non saprei dirti quale canzone scegliere. Tutte le canzoni che suoniamo, dall’inizio alla fine del concerto, hanno sempre qualcosa di speciale per noi. Sicuramente, per esempio, nei tour scorsi, I Am the Mountain è una canzone che ci tocca in modo più personale. Anche se sembra molto epica, in realtà parla di depressione.
È un’esperienza personale che riguarda me direttamente, ma di cui sono a conoscenza anche gli altri ragazzi della band. Forse proprio per questo ci dà una carica emotiva diversa, perché sappiamo che quella è l’ultima canzone del concerto e per me è davvero speciale.
Quando la suoniamo, vedo che diamo davvero tutto come band. Mi è capitato anche di piangere mentre la cantavo. In fondo, non devo dimostrare niente a nessuno. Sono brutto e cattivo lo stesso, anche se piango, no? (N.d.R. ride) È solo che è una canzone molto personale e particolare. La sento davvero pesante, ma al contempo liberatoria. E spesso vedo persone nel pubblico che piangono mentre la suoniamo.
Alcuni poi mi scrivono in privato o mi fermano all’uscita di uno spettacolo e mi dicono: “Guarda, quella canzone mi ha salvato la vita”. E per me è un enorme risultato. Forse ha salvato la vita anche a me, chi lo sa.
Le sfide del nuovo album Trollslayer
- (Gabriele) Trollslayer è in uscita, qual è la sfida più grande da affrontare arrivati al sesto album? Come è cambiato il vostro approccio alla scrittura e alla composizione nel corso degli anni?
Forse quello che abbiamo notato, ora che abbiamo alle spalle una storia di 15 anni, capita di scrivere qualcosa che i fan ormai si aspettano. La sfida più grande per il futuro sarà continuare, anche se in piccolo, a rinnovarci, per evitare di diventare una cover band di noi stessi. Parliamoci chiaro: anche le band più grandi, dopo 40 anni che suonano sempre gli stessi accordi e scrivono le stesse canzoni, alla fine rompono le scatole.
Per carità, ognuno ascolta quello che gli pare, ma quando sei lì da 40 anni e riproponi sempre le stesse cose, peggio di quando ne avevi 17, come fai a 70 anni ad esprimere quella rabbia e quel vigore che avevi a 17 anni? Dovresti evolvere insieme al tuo percorso di vita e fare musica che rifletta chi sei in quel momento, non quello che la gente pensa che tu debba essere. Altrimenti rischi di diventare un po’ una caricatura di te stesso.
Con i Wind Rose cerchiamo sempre di fare così, se guardi la nostra discografia, ogni album è diverso. Le persone lo trovano appassionante, ma in realtà è solo la progressione naturale della band. Scriviamo sempre musica basata su ciò che abbiamo in testa e nel cuore in quel momento. Non possiamo dire: “Adesso scriviamo la nuova Diggy Hole.” Non funziona così. Se viene fuori qualcosa che somiglia a una canzone vecchia, va bene, ma se non succede, non andiamo a forzarla.
Per esempio, il nostro album precedente non ha nemmeno una canzone party come Diggy Diggy Hole o Drunken Dwarves, perché è stato scritto durante la pandemia. E durante la pandemia, non è che avessimo tanta voglia di fare canzoni divertenti e spensierate, i nostri sentimenti erano diversi. Infatti, l’album è più pesante, più cupo, più solenne.
Con Trollslayer invece, abbiamo voluto riprendere alcune delle chiavi di lettura di quello che era il nostro sound in precedenza, ma con una nuova esperienza, una nuova visione. Ci sono più canzoni party, più brani veloci, perché dal vivo spaccano. Attualmente ci siamo sentiti così. Però non è detto che sarà così in futuro. Anzi, è probabile che cambierà, perché noi stessi cambiamo e la nostra musica seguirà questo percorso.
Rock and Stone e la collaborazione con Deep Rock Galactic
- (Gabriele) Nel nuovo album figura il brano Rock and Stone, ispirato a Deep Rock Galactic, gioco shooter cooperativo ricco di nani spaziali alla ricerca di ricchezze. Com’è nata questa collaborazione? Vi piacerebbe farlo anche con altri videogiochi?
Sarebbe bello in futuro collaborare con il nuovo The Elder Scrolls.
Parlando nello specifico di Rock and Stone, è stata una collaborazione nata quasi per caso. Durante i concerti, la gente iniziava a urlare “Rock and Stone” come un grido di battaglia, un po’ come facevano quando urlavano “Diggy Hole“. E noi ci siamo detti: “Ma cosa sta succedendo?”. Io lo sapevo, perché avevo già giocato a Deep Rock Galactic e ho spiegato agli altri che lo urlavano perché lo fanno proprio nel gioco.
Così abbiamo pensato: “Perché non fare una canzone che si chiami Rock and Stone?”. Era un titolo figo, e mi immaginavo qualcosa come I Wanna Rock dei Twisted Sister, dove tutti urlano il ritornello insieme. Così ho detto: “Dobbiamo fare questa canzone!”.
La collaborazione con Deep Rock Galactic è nata poi da un video su TikTok, dove avevamo chiesto chi ci volessero vedere collaborare con loro, e Deep Rock Galactic ha risposto: “Facciamolo”. Così ci siamo messi in contatto tramite messaggi diretti, poi abbiamo iniziato a fare delle videochiamate.
Devo dire che a livello di video non c’è stato un grandissimo contributo da parte loro. Noi avevamo l’idea di fare un video con i nostri personaggi all’interno del gioco, usando le nostre sembianze, ma loro non avevano il tempo né l’interesse a investire per creare i modelli.
(Gabriele) Un po’ come i Blind Guardian.
Sì, i Blind Guardian l’hanno fatto con Sacred. Quindi ci hanno dato carta bianca per usare i nomi, sponsorizzare il progetto sui loro canali, ma per il resto abbiamo fatto tutto noi: musica, testo e video.
Abbiamo realizzato il video con dei modelli creati da noi e ovviamente ringraziamo i nostri collaboratori, anche se i personaggi non sono esattamente identici a quelli del gioco. Però il video è venuto bene, l’abbiamo girato in uno studio in Serbia dove vanno anche band di grande calibro, come i Sabaton.
Lo studio è molto professionale, lavorare lì è anche più economico rispetto agli studi italiani, dove ci sarebbe costato cinque volte tanto. Non so nemmeno quanto siano attrezzati in Italia per questo tipo di CGI. Non ho mai visto grandi risultati da studi italiani in questo campo, ma magari mi sbaglio.
Non solo Tolkien, ma anche i nani di Warhammer
- (Gabriele) Nel corso degli anni abbiamo ascoltato molti brani ispirati dagli scritti di Tolkien, ma anche l’universo di Warhammer ha il suo spazio, ad esempio con Gates of Ekrund, e soprattutto ora con il nuovo album, a partire dalla copertina e dalla titletrack Trollslayer. Avete intenzione di esplorare maggiormente questo mondo, che è anche ricco di videogiochi?
Per quanto riguarda la lore di Warhammer, è davvero molto figa e sicuramente più sviluppata rispetto a quella de Il Signore degli Anelli, anche con il Silmarillion o Lo Hobbit, perché è stato dedicato molto più tempo alla lore dei nani. Quindi, in modo logico, ci sono più cose da scrivere, più storie da raccontare.
Personalmente, volevo esplorare di più questo mondo, perché ho iniziato a giocarci a 11 anni e ora ne ho 35. Sono parecchi anni che conosco questo gioco. Mi sembrava davvero interessante, anche dal punto di vista del gaming, fare delle canzoni su questo universo.
I risultati sono stati buoni, la gente è molto appassionata di Warhammer. Ho giocato molto anche a Warhammer Online, che si chiamava Age of Reckoning. Quando l’originale è stato chiuso, io ho continuato a giocare su un server privato, chiamato Return of Reckoning. Non è un server ufficiale, ma ha l’approvazione di EA. Questo server è diventato il principale e ci sono stati momenti in cui c’erano anche 4000, 5000 o 6000 giocatori attivi. Sono numeri importanti per le mappe di Warhammer Online, e devo dire che ho trovato molta ispirazione proprio giocando lì.
Nel gioco, col mio clan, potevamo formare delle warband fino a 24 persone. In pratica erano delle battaglie in larga scala dove se c’era qualcuno sotto attacco, tutti i curatori potevano selezionarlo e curarlo immediatamente e questo creava delle dinamiche davvero epiche. A volte partecipavamo a scontri con due warband, quindi 50 persone contro altre 50, con battaglie epiche per conquistare o difendere dei forti. Tutto questo mi ha ispirato parecchio per scrivere i nostri pezzi.
Warhammer fa parte del mio passato, presente e futuro, sia come gioco da tavolo e sia come esperienza online. Mi piaceva l’idea di esplorarlo un po’ di più, specialmente la storia di Gotrek, uno degli Slayer più famosi, che ho scoperto nei libri di Gotrek & Felix.
In particolare, il libro Trollslayer, che parla di Gotrek, uno Slayer che cerca di redimersi e di ritrovare il suo onore, destinato a morire contro il nemico più grande che possa mai affrontare. Ho preso ispirazione da questo libro per scrivere tre o quattro canzoni dell’album, che seguono un filo conduttore legato proprio al Trollslayer.
Le altre canzoni, invece, sono ispirate a temi più generici, ma comunque legati all’universo di Warhammer.
La dura vita delle band metal italiane
- (Antonello) Cosa significa per voi essere una band italiana appartenente a un genere musicale che spesso è dominato da scene di altri paesi come la Scandinavia o la Germania?
In Italia i generi predominanti sono altri, quindi c’è meno mercato, meno offerta e di conseguenza meno guadagno. Gli italiani sono sempre stati molto esterofili. Magari vedono una band finlandese e dicono “Spettacolo!”, ma poi li ascolti e pensi: “Ma che gran merdaccia!” E ti chiedi: “Come è possibile che abbiano fatto 2000 persone?”, mentre magari una band italiana di valore fatica arrivare a 100 persone.
Prendiamo per esempio gli Iron Maiden, i Metallica o i Rammstein. Quando suonano loro, ci sono 70.000 persone a vederli, mentre per altre band magari non ne arrivano nemmeno 500. Fa più figo dire che sei stato a vedere i Rammstein piuttosto che andare a vedere una band italiana. Insomma, non si è mai profeti in patria.
Noi abbiamo dovuto fare il botto all’estero prima di riuscire a tornare in Italia e riempire concerti con 2000 e più persone. Ma per arrivare a questo punto abbiamo dovuto ottenere risultati eccellenti fuori dal Paese. Eppure, tante persone che ci ascoltavano non sapevano nemmeno che fossimo italiani. Forse se lo avessero saputo dall’inizio, non ci avrebbero seguito.
Non fraintendermi, ci sono tantissimi fan italiani che ci seguono dal 2009 e che sono diventati amici. Però la tendenza è che una band straniera sembra sempre avere più valore rispetto a una band italiana, anche quando la qualità della musica dovrebbe parlare da sola.
Lo stesso vale per le etichette discografiche: se sei una band italiana, spesso non ti prendono sul serio. C’è questa nomea che i gruppi italiani non riescano a portare avanti un progetto. Anche il fatto che il nostro governo non ci abbia mai sostenuto non aiuta. Durante i tre anni di COVID, ci è stato detto che il nostro lavoro non fosse essenziale, quindi non abbiamo ricevuto alcun supporto economico. A quel punto, sono tornato a fare il meccanico, un altro è tornato in fabbrica. Che altro potevamo fare? Tre anni senza lavoro.
Io ero tornato a lavorare in fabbrica pure dopo aver scritto Diggy Diggy Hole, che ha fatto 60 milioni di visualizzazioni. Eppure, nessun riconoscimento, nonostante paghiamo le tasse come tutti.
In Finlandia, per esempio, se sei un musicista, lo stato ti dà un piccolo sostegno economico, perché contribuisci alla cultura del Paese. È una concezione completamente diversa. Certo, devi raggiungere un certo livello per ottenerlo.
Noi, non viviamo più nemmeno in Italia. Ci siamo trasferiti in Ungheria perché alla fine l’Italia era un costo continuo e non c’è abbastanza mercato per noi. Dall’Ungheria, invece, siamo vicini all’Austria, dove c’è la nostra etichetta e alla Germania. È tutto più comodo, anche per le trasferte. La Polonia è molto più vicina all’Ungheria che all’Italia, e così risparmiamo sui costi logistici. Insomma, ci siamo spostati lì da quest’anno e stiamo bene.
- (Antonello) Prima di andare vorremmo conoscere un curioso aneddoto sulla vostra carriera
Parlando con Ensiferum quando eravamo in tour insieme, gli ho chiesto: “Ma perché siete così gentili con noi?” Alla fine, noi eravamo un gruppo molto più piccolo di loro, almeno all’epoca. Lui mi ha risposto: “Non c’è bisogno di essere delle teste di cazzo, perché non sai mai chi sarà al top domani. Oggi noi siamo gli headliner e voi i supporti, ma domani magari sarà il contrario.” Questa cosa mi ha fatto riflettere, perché noi abbiamo sofferto abbastanza come band di supporto.
Ricordo una volta a Firenze, la mia città, dove pensavo di essere a casa, invece mi sono ritrovato in una stanza vuota, con due sedie, cinque bottigliette d’acqua da mezzo litro e un piatto di noccioline. Quello era il nostro catering per tutta la giornata. E poi vedevo altre band che avevano tavolate piene di cibo e c’era il cartello che indicava fosse solo per loro, lasciavano tutto e non gliene importava niente. Quella band adesso non va bene come un tempo.
(Gabriele) La ruota gira per tutti, insomma.
Quando abbiamo fatto il nostro primo tour da headliner, abbiamo suonato con gli All For Metal, ragazzi bravissimi, ma sicuramente alle prime armi. Era il loro primo tour e sono un gruppo messo su da un’etichetta commerciale. Questi ragazzi pensavano che tutto gli fosse dovuto. Allora io gli ho spiegato com’è davvero la situazione, spiegando loro perché compravo le pizze tutte le sere e cercavo di farli stare a loro agio, con le loro stanze e le loro bibite.
Lo facevo perché nessuno l’aveva fatto per me. Loro dicevano: “Ma che vi cambia se prendete 10 pizze invece di 5, tanto pagano i promoter.” Io gli ho spiegato che il catering lo paga la band headliner e che il promoter ti addebita tutto. Quindi tutto ciò che bevete e mangiate è perché ve lo stiamo offrendo noi.
Noi abbiamo passato momenti duri: ci sono stati tour in cui abbiamo dormito in un furgone, non un tour bus, ma un semplice furgone. Dormivo accanto al mio tastierista, seduti sui sedili per 25 date, praticamente un mese intero. Un’altra volta, tornando dalla Francia, il nostro autista era così stanco che si è addormentato al volante e abbiamo sbandato. Per fortuna non è successo niente, ma potevamo morire tutti. Questo mi ha fatto riflettere su quanto abbiamo sofferto per arrivare fin qui.
Tanta gente pensa che sia tutto più facile per chi ha le conoscenze o i soldi. Una volta qualcuno ha fatto una battuta, dicendo che ce l’avevamo fatta perché il nostro bassista era stato nei Vision Divine. Con tutto il rispetto, sono una grande band e Carlo è un grande compositore, ma non è che grazie ai Vision Divine abbiamo raggiunto il successo.
Questo genere di commenti lo leggevo anche sul gruppo metal della Toscana, la mia terra, e mi faceva arrabbiare. Le persone, pur di non spronarsi a fare meglio, devono trovare una soluzione nella loro testa al tuo successo, perché loro non se lo sanno spiegare.
(Gabriele) Non se lo stanno giustificare, per loro è impossibile.
Esatto, per loro è impossibile che tu ce l’abbia fatta senza scorciatoie.
È vero sei pagato, ma la verità è che all’inizio ti dicono: “Vieni in tour, ma devi pagarti le spese.” E quindi ti devi pagare il furgone, l’autista, gli alberghi, noi abbiamo speso 20.000 euro, riprendendocene forse 10.000 dal merchandising, se andava bene. Facevamo circa 1000 euro a serata, ma le spese erano comunque altissime.
Invece di andare in vacanza, ci investivamo tutto. È chiaro che devi avere accanto una persona giusta, una famiglia che ti sostiene perché, se hai una compagna che ti ostacola, o un lavoro che non ti permette di partire, non andrai da nessuna parte.
Grazie ancora per l’intervista, a presto.
Classe 93, dall'animo nerd, da sempre appassionato del mondo videoludico. Alcune leggende sostengono sia nato con un controller in mano. Negli anni scopre di avere una particolare predisposizione per le interviste. Odia più di ogni altra cosa la console war.