Siamo davvero onorati di aggiungere alla nostra rubrica delle interviste Alessandro Zurla, doppiatore di professione attivo non solo nel mondo dei videogiochi, ma anche in quello di film, serie televisive e animate.
Alessandro Zurla nasce a Bologna il 12 luglio del 1982 e si avvicina alla recitazione frequentando la scuola teatrale Accademia 96 a Bologna. Dopo vari corsi di doppiaggio e recitazione si trasferisce a Milano per motivi legati principalmente al mondo del doppiaggio.
Alessandro Zurla ha doppiato vari personaggi del mondo videoludico, sicuramente quelli più blasonati sono Alan Wake del gioco per l’appunto Alan Wake, Owen in The Last of Us Parte 2, Stefano Valentini in The Evil Within 2, e Tank Dempsey in Call of Duty: World at War, Call of Duty: Black Ops, Call of Duty: Black Ops II e Call of Duty: Black Ops III.
Oggi scopriremo qualche aneddoto e retroscena sul doppiaggio di due titoli celebri e apprezzati da critica e pubblico, ovvero Alan Wake e The Last of Us Parte 2.
- Cosa ti ha spinto a entrare nel mondo del doppiaggio?
Sin da bambino a me piaceva un po’ esibirmi e improvvisare spettacoli teatrali per i miei compagni di classe. Quando ci portavano a teatro con la scuola mi piaceva la dimensione drammatica, o comunque estetica di comunicare e di trasmettere certe cose. L’incontro con i Cavalieri dello Zodiaco poco più tardi fece il resto, perché rimasi fulminato dall’epicità delle voci e dai dialoghi e da allora cominciai ad appassionarmi alle voci. Presto decisi che fosse una cosa che volevo tentare di fare e sono stato fortunato, perché crescendo con costanza sono riuscito a entrare nel mondo del doppiaggio.
- Sei particolarmente legato ai tuoi personaggi? Che tipo di rapporto hai avuto con il personaggio di Alan Wake? Raccontaci la tua esperienza.
Sì, io tendo ad affezionarmi ai miei personaggi, proprio perché è una cosa che ho sempre voluto fare. Quando avevo doppiato tanti anni fa la serie di Mazinga, c’era questo ispettorato Ankokuji che mi sono divertito molto a doppiare, oppure il papà di Capeta, un cartone animato di go-kart, ma anche in un prodotto come la telenovela Una Vita c’è un personaggio molto buffo che mi piaceva dal nome Leandro. In realtà quasi tutto quello che faccio se è un personaggio continuativo con i suoi momenti divertenti o anche più drammatici mi affeziono.
Di Alan Wake sono particolarmente affezionato perché fu il mio primo personaggio grosso nell’ambito dei videogiochi. Tanto che l’anno scorso, visto che era il decennale dell’uscita, ho fatto un omaggio sul mio canale YouTube, pubblicando delle puntate di una specie di radio dramma con musica ed effetti; tutto creato da me con l’aiuto anche di alcune attrici. Abbiamo cercato di ricreare tutta la storia, però riscoprendola 10 anni dopo e percependola anche da una prospettiva diversa, in quanto sono cresciuto sia come persona che come professionista. Ricordo che all’epoca fui molto emozionato all’idea di avere un ruolo principale di un prodotto che tra l’altro apprezzavo molto, perché aveva molte similitudini con Silent Hill, altro gioco che avevo amato molto e in cui c’erano le atmosfere orrorifiche e quell’elemento investigativo molto suggestivo.
- Sappiamo che hai doppiato Owen in The Last of Us Parte 2, puoi raccontarci un aneddoto dietro questo lavoro?
Owen è un bel personaggio, come del resto è bellissimo il gioco The Last of Us Parte 2. È stato uno dei personaggi videoludici che mi sono piaciuti di più insieme a Stefano Valentini di The Evil Within 2 o a Dempsey in Call of Duty. Tornando ad Owen, devo ammettere che è un personaggio che mi è piaciuto molto, sia perché abbiamo lavorato bene curando molto tutta la lavorazione nei vari step, sia per le scene visto che erano piuttosto diversificate in quanto erano presenti sia momenti più drammatici che situazioni più divertenti.
Un aneddoto simpatico che riguarda The Last of Us può essere quando ho incontrato, dopo pochi turni che stavamo lavorando per il prodotto, Katia Sorrentino, che nel gioco interpreta Mel, ovvero la compagna ufficiale di Owen. Visto come si comportava il mio personaggio che era un po’ birichino, mi incrociò nel corridoio e mi disse: “Anche tu The Last of Us?”. Io risposi di sì, specificando che stavo doppiando Owen. Lei sorpresa mi mimò un paio di ceffoni nel corridoio, perché appunto disapprovava il comportamento del mio personaggio.
- Qual è stato il personaggio più difficile da doppiare? E a quale sei più affezionato?
Come già detto, ce ne sono diversi e adesso mi viene in mente anche il co-protagonista di una commedia romantica indiana, che si chiama Sir- Cenerentola a Mumbai. Storia molto bella, oltre che molto appagante da fare, mentre invece uno dei più difficili è stato Sbandone del cartone animato Turbo Fast, serie animata con protagonisti delle lumache da corsa, abbastanza impegnativo ma molto divertente.
Un altro tipo di difficoltà, di tipo interpretativo, è stato inquadrare il personaggio di Fiore nel telefilm The Preacher, poiché questo angelo dall’aspetto di un cowboy è sostanzialmente molto strano, un po’ sopra le righe, perciò aveva un modo di recitare tale da non capire bene cosa volesse esprimere con ogni battuta. Penso che le cose difficili siano anche le più soddisfacenti.
- Quali sono i consigli che daresti a nuovi e aspiranti doppiatori?
Il consiglio spassionato che mi sento di dare è quello di intraprendere un percorso che riguardi la recitazione, quindi poi studiare dizione, teatro e fare anche delle esperienze che coinvolgono tutto il corpo, la mente e il cuore. Per quanto riguarda l’iter del doppiaggio, ognuno ha un po’ una propria storia. Una cosa che consiglio in senso generale è che, qualora uno dovesse riuscire a lavorare e a trovare una propria dimensione, continuare comunque a coltivare i propri progetti, anche non legati strettamente alla recitazione o al doppiaggio. In pratica tutto quello che può contribuire a nutrire e a dare stimoli perché alla fine non è tanto quello che puoi ottenere dalla sala quando vai a registrare, ma il più delle volte dobbiamo essere noi stessi a portare qualcosa nelle sale di doppiaggio.
- Noi ti ringraziamo per la tua disponibilità, ma prima di andare vorremmo sapere un curioso aneddoto sulla tua carriera.
Grazie a voi innanzitutto di VideogiochItalia per avermi ospitato. Una consuetudine che era saltata fuori con Andrea Bolognini, vecchio collega con cui ho lavorato tempo fa: era capitato spesso di trovarci al leggio insieme, e per spalleggiarci a vicenda avevamo trovato questo metodo durante le scene di lotta nei cartoni animati o dei film. Dovunque ci fosse da urlare, avevamo adottato una tecnica molto intelligente. In pratica dovevamo sollevarci le rispettive maniche e, siccome al leggio c’erano delle puntine per fermare i fogli, per rendere più credibili e realistiche le nostre reazioni, ogni volta che uno dei due doveva urlare, l’altro lo trafiggeva o strappava dei peli, insomma qualsiasi cosa potesse procurare dolore. Il famoso metodo Stanislavskij, ovvero aumentare la veridicità tramite il dolore.
Classe 93, dall'animo nerd, da sempre appassionato del mondo videoludico. Alcune leggende sostengono sia nato con un controller in mano. Negli anni scopre di avere una particolare predisposizione per le interviste. Odia più di ogni altra cosa la console war.