The Last of Us Parte 2: 3 motivi per acquistarlo e 3 motivi per non farlo

Informazioni sul gioco

The Last of Us Parte 2 è ormai alle porte, dopo ben 7 anni e numerosi rinvii, il 19 giugno potremo finalmente inserire il disco nelle nostre console e vedere all’opera l’ultima fatica firmata Naughty Dog e pubblicata da Sony Interactive Entertainment. Questa anteprima si prefigge di elencare alcuni elementi sia positivi che negativi, allo scopo di togliere qualche dubbio anche ai più scettici.

The Last of US Parte 2 è ambientato 5 anni dopo gli eventi del primo capitolo: se nel precedente viviamo l’esperienza sotto il punto di vista di Joel, tra qualche giorno vivremo l’intera campagna secondo la prospettiva di Ellie, protagonista assoluta di questa nuova storia.

3 MOTIVI PER ACQUISTARE The Last of Us Parte 2

Un titolo finalmente più maturo

Naughty Dog è riuscita a proporre al pubblico delle tematiche più oscure e mature, questo perché, senza troppi giri di parole, la software house statunitense non ha mai sviluppato titoli con argomenti e temi di un certo spessore; si è limitata a realizzare ottime storie, con sceneggiature eccellenti e gameplay di buon livello, senza mai tentare un percorso tortuoso e per certi versi più profondo.

Finalmente vedremo una sorta di umanizzazione dei nemici, dando peso anche agli omicidi più efferati da parte della protagonista; non come spesso capitava alla serie di Uncharted, dove un carro armato bipede compiva un vero e proprio genocidio senza batter ciglia. Vedremo i nostri nemici soffrire, gridare dal dolore, e questo comporterà un tentennamento ai giocatori a compiere la mossa fatale, dove per la prima volta il confine tra finzione e corporeità viene messo davvero a dura prova.

Oltre ad aver dato quel tocco di umanità ai nostri nemici, per rendere le circostanze più realistiche, notiamo inoltre una predisposizione di alcune tematiche molto ricorrenti, come la vendetta, contenuti in materia di LGBT, amore e sopravvivenza, argomenti in parte già trattati nel primo gioco, ma con più superficialità. Seguendo una linea di estrema attenzione al rispetto generale di suddette tematiche, oggi invece le vedremo affrontate con uno spirito più canuto.

Parte 2

Come detto in testa all’articolo, vivremo l’intera esperienza sotto la prospettiva di Ellie e non di Joel, quest’ultimo protagonista piuttosto discusso del primo gioco. Questa scelta implicherà un cambio di rotta narrativo da parte degli sviluppatori, adattando il nuovo contesto intorno a una ragazza di soli 19 anni, segnata dalla violenza del mondo in cui si trova e spinta da una vendetta che, molto probabilmente, sarà il focus principale dell’intera esperienza videoludica.

In sostanza, il passaggio da Joel a Ellie non è stato attuato per dare una versatilità al gameplay, ma per farci vivere due esperienze totalmente differenti fra di loro, con pretesti e background del tutto eterogenei. Quindi, The Last of Us Parte 2 non è un seguito vero e proprio, ma una sorta di secondo tempo di un’unica grande storia. Questa è una scelta narrativa ben costruita e in sviluppo, si suppone, dalla genesi del primo titolo.

Il gioco della generazione

The Last of Us nel 2013 ebbe un successo planetario sia di critica che di pubblico, tanto che la stessa Naughty Dog fu sorpresa da quei risultati che si sintetizzarono in ben 20 milioni di copie vendute e tantissimi premi, tra cui il più ambito, ovvero il Game of the Year, che conosciamo tutti come GOTY. Molti videogiocatori, me compreso, hanno acquistato una PlayStation in questa ottava generazione videoludica per poter mettere le mani sul seguito ufficiale di The Last of Us; sembrerebbe un’esagerazione, ma questo titolo, oltre ad aver mosso una quantità incredibile di proventi per vari settori del medium videoludico, si è trasformato negli anni in un vero masterpiece senza precedenti, oggetto di dibattito fra i critici più stimati del settore, oltre che oggetto di migliaia di video sulle varie piattaforme di video sharing come YouTube.

In conclusione, siamo difronte a un’opera che rende giustizia ai videogiocatori, affievolendo dopo tanti anni la reputazione negativa di questo settore tra le varie linee editoriali e televisive che consideravano, in realtà ancora oggi anche se in misura ridotta, i videogiochi nocivi e dal limitato valore culturale. The Last of Us ha realmente sovvertito questa tendenza, mostrando al mondo intero che anche un videogioco potesse emozionare.

 

3 MOTIVI PER NON ACQUISTARE The Last of US Part 2

Un versione remastered nel 2021 per PS5?

Parliamoci chiaramente, il modus operandi della software house statunitense sarà molto probabilmente la stessa del 2013, quando, solo un anno più tardi dalla pubblicazione su PlayStation 3, rivelò sulla PlayStation 4 una versione rimasterizzata con alcune migliorie grafiche (tra cui: una risoluzione nativa di 1080p, un framerate di 60 fps) e con all’interno il DLC Left Behind, disponibile direttamente come contenuto aggiuntivo.

Attenzione, noi non stiamo disincentivando l’acquisto al day-one, ma semplicemente vogliamo mettervi al riparo a fronte di una spesa di 70 € in quanto avremo tra le mani una versione castrata e con alcuni limiti tecnici che, con la nuova console di casa Sony, verranno invece sopperiti. In sostanza, per alcuni converrà l’idea di pazientare un anno per trovarsi fra le mani un titolo più performante, meno caro ed eventualmente con all’interno contenuti aggiuntivi già disponibili.

Passano gli anni, e 7 son lunghi, ma il gameplay non ne ha fatto di strada

Nonostante svariati cambiamenti all’interno del mondo di gioco, con la presenza di un level design più verticale, arrampicate e corde che strizzano l’occhio ad Uncharted e un’intelligenza artificiale che, a detta degli sviluppatori, sarà un assaggio delle nuove potenzialità della prossima generazione, la struttura ossea del gameplay è pressoché identica al titolo di ben 7 anni fa.  Mi rendo conto che innovare un genere sia un processo difficoltoso e per certi versi irrealizzabile, ma bisogna tentare una via più coraggiosa e temeraria.

“Squadra che vince non si cambia”. Nonostante questo proverbio descriva alla perfezione la scelta del gameplay da parte degli sviluppatori, è pur vero che, col passare del tempo, i giocatori necessitano di nuovi stimoli e di un rinnovamento indispensabile per garantire una nuova vivacità. In questi anni sono sorte esigenze di un certo tipo, essendo tutti abituati a determinati standard e potremmo definirci sazi di un metodo applicato oramai su decine di titoli.

In conclusione, dopo 7 anni e un investimento milionario da parte di Naughty Dog e Sony, mi sarei aspettato qualche cambiamento su questo versante, o quanto meno di vedere un tentativo più pronunciato sull’originalità delle meccaniche di gioco, a tal punto da svecchiare quanto basta un gameplay piuttosto tradizionale.Un esempio calzante è la serie di Assassin’s Creed che, per quanto abbia snaturato per un certo verso la campagna, alterando la lore del gioco, ha innovato un gameplay ormai stantio, rinnovando parte delle meccaniche di gioco, modifiche apprezzate sia dalla critica che dal pubblico.

La sindrome del capolavoro preannunciato

In una prospettiva dove il nostro intento è quello di scovare alcuni elementi che potrebbero risultare negativi, con estrema sincerità ammettiamo di non trovare altre controversie invalidanti da menzionare al sopracitato titolo, o quanto meno snidare alcuni aspetti che possano minare l’esperienza di gioco. Tuttavia, mi preme discutere di una questione che a parer mio ha raggiunto un punto di non ritorno, ovvero etichettare un titolo “capolavoro” ancor prima della sua uscita.

The Last of Us Parte 2 ha realmente tutti i presupposti per essere un’opera prestigiosa e senza tempo, ma è pur vero che, a fronte di poche innovazioni, rischierebbe di trasformarsi in un titolo ordinario e senza troppe pretese, magari con una campagna lineare e prevedibile e, come abbiamo visto, con un gameplay per nulla ringiovanito. Ovviamente ci auguriamo il contrario, ma è un’ipotesi da tenere in considerazione, visto che vediamo questo pensiero affermarsi, nonché il dogma di fare meglio del capitolo precedente. Visto il tema trattato, è pertinente menzionare il fenomeno Death Stranding, sviluppato dall’autore di videogiochi Hideo Kojima, uscito a novembre del 2019. Titolo considerato, ancor prima di uscire, un capolavoro senza tempo, complice la presenza di un cast cinematografico e di uno sviluppo peculiare da parte di Kojima. Il videogioco purtroppo non fu apprezzato da molti e in un caso particolare subì una shitstorm senza precedenti, tanto da far intervenire Metacritic per eliminare alcune recensioni considerate ingannevoli e infondate. In sostanza è il caso di dire, ai posteri l’ardua sentenza.

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