Oggi abbiamo il piacere di ospitare nella nostra rubrica delle interviste, Diego Lorenzi, conosciuto nel mondo della Virtual Photography come Diesmo16. Attraverso i suoi scatti digitali, Diego cattura l’essenza artistica dei videogiochi, trasformando screenshot e momenti di gioco in vere e proprie opere d’arte.
Oggi Diego, ci spiegherà nel dettaglio cosa significa essere un fotografo virtuale e al tempo stesso il significato della parola. Una nuova forma d’arte non ancora particolarmente conosciuta dal nostro paese, ma che noi stessi vogliamo valorizzare.
Indice
Chi è Diego Lorenzi?
Diego Lorenzi è un fotografo professionista originario di Savona, in Liguria, con una profonda passione per la comunicazione digitale e il mondo videoludico. Conosciuto online come Diesmo16, ha scelto di raccontare i videogiochi attraverso una lente originale: quella della fotografia virtuale.
Il suo percorso nasce con l’obiettivo di valorizzare la profondità e la bellezza dei videogiochi, condividendo storie, curiosità e ambientazioni in grado di affascinare anche chi non ha familiarità con questo medium.
Dopo aver conseguito la Laurea Triennale in Scienze della Comunicazione, Diego ha completato anche una la magistrale in Digital Humanities presso l’Università di Genova, concentrando la sua tesi sullo studio della fotografia virtuale e sul suo potenziale di crescita sul web.
La sua attività si sviluppa anche come un esperimento pratico sui social network facendo conoscere al pubblico italiano l’arte della Virtual Photography.
Che cos’è la Virtual Photography?
La Virtual Photography o In-game photography è una forma d’arte digitale che consiste nel catturare immagini all’interno di videogiochi o mondi virtuali, utilizzando strumenti come la modalità foto integrata o semplici screenshot. Questa pratica permette di esplorare e immortalare la bellezza estetica dei videogiochi, offrendo nuove prospettive e interpretazioni visive.
Nonostante le sue potenzialità artistiche, la questa forma di scatto è ancora poco conosciuta, anche tra gli stessi videogiocatori, ma eventi e mostre stanno contribuendo a diffondere e valorizzare questa forma espressiva.
In questa intervista Diego ci racconterà nel dettaglio in cosa consiste la modalità foto di ogni videogioco e di come siano, al tempo stesso, molto diverse fra di loro, offrendo agli utenti modalità piene di funzioni più o meno avanzate.
L’utente ha la possibilità di modificare l’esposizione, la lunghezza focale, la profondità di campo, l’apertura del diaframma, tutte cose che ci sono anche nella fotografia tradizionale.
La mostra Frame the Game al Game Fest di Cosenza
Nel novembre 2024 la nostra redazione è stata presente al Game Fest di Cosenza, in quella occasione Diego ha presentato la mostra Frame the Game, in collaborazione con noi. L’esposizione ha offerto ai visitatori uno sguardo artistico sul mondo videoludico.
L’iniziativa ha contribuito a sensibilizzare il pubblico sull’importanza della Virtual Photography come forma d’arte emergente. Videogiochitalia.it inoltre è stata Media Partner dell’evento, prendendo parte all’attivo a due panel dedicati ai videogiochi.
Se volete saperne di più sull’evento, vi invitiamo a recuperare il nostro articolo dedicato. Ma le sorprese non finiscono qui.
La mostra Pixel Stories: al Museo del Presente di Rende (CS)
La più grande novità è che a partire dal 6 maggio e fino al 6 giugno 2025, il Museo del Presente di Rende (CS) ospiterà la prima mostra in Italia interamente dedicata alla Virtual Photography dal nome Pixel Stories. La mostra vedrà vedrà come protagonista Diego Lorenzi, con circa 25 scatti tratti da alcuni dei videogiochi più avanzati e suggestivi in termini di modalità fotografica, come God of War, The Last of Us e Horizon Zero Dawn e Forbidden West.
L’esposizione è curata da Videogiochitalia.it in collaborazione con il Cosenza Comics & Games che si appresta alla sua undicesima edizione (qui trovate i biglietti per la fiera che si terrà sabato 10 e domenica 11 maggio). Ringraziamo ancora una volta l’organizzazione del Cosenza Comics & Games per questa opportunità.
L’allestimento includerà anche elementi interattivi, tra cui QR code per approfondire i contenuti esposti, e installazioni con pezzi da collezione legati alla storia e all’evoluzione di questa nuova e affascinante forma d’arte digitale.
All’interno del museo troverete anche altre mostre, tra cui: Una mostra dedicata alla carriera di Giuseppe Palumbo che ripercorre la pluridecennale attività dell’autore e la prima mostra in Italia di miniature artistiche che ospiterà artisti di caratura internazionale. Qui, trovate tutte le info.
Intervista a Diego Lorenzi – Diesmo16
Le basi per la fotografia virtuale
- Come ti sei avvicinato al mondo della Virtual Photography? Sei sempre stato appassionato di fotografia o questa passione è venuta fuori grazie ai videogiochi? Ma soprattutto, cos’è la Virtual Photography?
Ho iniziato a fare Virtual Photography per un progetto personale. Volevo gestire una pagina Instagram, creare una piccola community intorno a questo mio progettino, e da lì poi scrivere una tesi magistrale. Era il 2020, dovevo scegliere un argomento: o Motorsport oppure videogiochi in generale. Alla fine ho pensato che il Motorsport fosse ancora più impegnativo, così ho optato per i videogiochi. Tanto ci gioco sempre, quindi avrei avuto sempre materiale su cui lavorare.
Mi serviva però un modo per differenziare i contenuti. I video mi sembravano troppo complessi da realizzare all’inizio, anche perché richiedono esperienza. Allora ho pensato: “Ogni tanto scatto delle foto nei videogiochi, anche se lo faccio in modo sporadico e un po’ alla buona… potrei specializzarmi in questo!” Così ho iniziato: almeno sapevo di avere materiale da pubblicare e di poterci costruire qualcosa.
Da lì ho portato avanti il progetto, ci ho costruito sopra la tesi, e in due-tre anni sono passato dall’essere un neofita della fotografia in-game a trasformare questa passione in qualcosa di più concreto, fino a cimentarmi anche nella fotografia reale.
Insomma, mentre molti miei colleghi sono partiti dalla fotografia tradizionale per poi portare la loro esperienza nei videogiochi, io ho fatto il percorso inverso. Giocando, ho iniziato a divertirmi sempre di più anche con la modalità foto, e da lì è nata una passione.
Poi è cresciuta anche una community intorno al progetto, da lì sono partiti altri lavori, collaborazioni e progetti. La domanda “Cos’è la Virtual Photography?” sembra semplice, ma, quando la fai a qualcuno, spesso ti risponde: “Cosa vuol dire, fai delle foto ai videogiochi?” In realtà, la stragrande maggioranza dei tripla A – e anche titoli meno noti – oggi ha una modalità foto.
Quindi cosa faccio? Gioco ai titoli che mi piacciono, con cui sento affinità, e se vedo che c’è il potenziale per creare immagini interessanti o spettacolari, apro la modalità foto e inizio a sperimentare. Questa modalità funziona come una vera fotocamera, con un sacco di impostazioni da gestire.
Magari dopo parleremo di cosa permette davvero di fare una modalità foto, perché c’è tanto da dire. Io poi salvo gli screenshot, li passo al PC, e inizia la fase di post-produzione, seguita da tutta la parte organizzativa: pianificazione editoriale, pubblicazione dei post… In pratica, la mia piattaforma è diventata una forma di fotografia ambientata nel mondo virtuale.
La modalità foto di Death Stranding
- Quale è stato il tuo primo scatto in-game?
Lo ricordo benissimo! E la cosa buffa è che non c’era nemmeno la modalità foto. Ho iniziato con Sekiro, perché sono appassionato di soulslike, FromSoftware e tutto quel mondo lì. Sekiro, anche se più action, per me è stata una delle esperienze videoludiche più intense della mia vita. Le ambientazioni erano incredibili, e anche se non c’era una modalità foto vera e propria, mi dicevo: “Voglio comunque conservare un’immagine di questo panorama, voglio catturare quel boss con l’R3 e lo inquadro!”
Così ho iniziato a fare dei semplici screenshot durante i combattimenti. Vedevo un boss interessante e lo fotografavo, ovviamente con tutti i limiti del caso: niente modalità foto, quindi immagini con rumore, disturbo, qualità non sempre ottimale… ma quello è stato il mio primo approccio alla Virtual Photography.
Il primo approccio vero, invece, con una modalità foto completa e sfruttando tutte le impostazioni disponibili, è stato con Death Stranding. Kojima ha dato tantissima importanza alla modalità foto in quel gioco, e da lì ho iniziato davvero a muovere i primi passi seri nel mondo della delle foto virtuali.
Differenze tra la Virtual Photography e la fotografia tradizionale
- Quali sono le maggiori differenze tra la macchina fotografica e la Virtual Photography?
Allora, prima di tutto va fatta una premessa importante: io mi sono sempre avvicinato alla fotografia attraverso le console. Su console, infatti, la questo tipo di modalità è parte integrante del software del videogioco. Quindi, se un gioco la include, la puoi usare — ma ogni titolo la propone in modo diverso, a meno che non si tratti di sequel o saghe con impostazioni simili.
Per esempio, in The Last of Us la modalità foto permette di muoversi solo attorno al personaggio, mentre in Horizon Forbidden West ci si può spostare liberamente ovunque nella scena. Ecco, una delle principali differenze tra fotografia virtuale e reale è proprio questa: la modalità foto dipende da quanto gli sviluppatori hanno investito nel suo sviluppo. È il software che fa la differenza.
Con una macchina fotografica reale, se si ha la competenza e la giusta attrezzatura, si possono ottenere risultati tecnicamente anche superiori. Tuttavia, la fotografia in-game ha dei vantaggi pratici enormi. Pensa a Gran Turismo 7, che ha una delle modalità più avanzate mai realizzate: nella realtà fotografare un’auto da corsa è difficilissimo, ma nel gioco puoi farlo infinite volte, con un modello che gira all’infinito sul circuito.
In quel contesto, il lato tecnico è riprodotto in modo incredibilmente realistico, compresi effetti di movimento e strumenti di post-produzione interni al gioco. Quindi il vantaggio della Virtual Photography è proprio la possibilità di sperimentare senza limiti: hai tempo infinito, puoi sbagliare quanto vuoi, puoi imparare sul campo virtuale.
Al contrario, nella componente reale ci sono dei limiti tecnici, di esperienza, di tempo e ovviamente anche di budget. Io sono partito dai videogiochi proprio perché avevo a disposizione mezzi infiniti,: la modalità foto che uso io è la stessa che può usare chiunque. Nella realtà, invece, l’attrezzatura fa la differenza e ti consente — o meno — di realizzare certi tipi di scatti.
Come funziona la Virtual Photography: la fotografia nei videogiochi
- Cosa si può fare sostanzialmente nella modalità fotografica di un videogioco? Puoi farci qualche esempio concreto?
Allora, tutto parte dal gameplay. Facciamo un esempio pratico: sto giocando a The Last of Us, sto controllando Ellie mentre cammina in uno di quei giardini abbandonati pieni di atmosfera. A un certo punto metto in pausa, apro la modalità foto e si apre un’interfaccia con tutta una serie di impostazioni.
Come dicevamo prima, ogni gioco ha la sua modalità, con funzioni più o meno avanzate. Ma se ne prendiamo come riferimento una ben fatta, che simula una macchina fotografica reale, ci troviamo davanti a strumenti come: esposizione, lunghezza focale, profondità di campo, apertura del diaframma… tutte cose che ci sono anche in fotografia tradizionale.
Spesso però queste impostazioni vengono semplificate nei nomi, per renderle più intuitive per chi non ha esperienza con la fotografia. Quindi invece di “lunghezza focale” trovi magari “zoom +” o “zoom -”. Sono accorgimenti pensati per far avvicinare anche chi non ha mai fotografato prima, senza spaventarlo con termini troppo tecnici.
Una volta attivata la modalità, puoi spostare la macchina fotografica virtuale attorno al personaggio, con dei limiti ovviamente, perché la scena deve essere renderizzata in tempo reale. Ma all’interno di quello spazio puoi trovare l’inquadratura perfetta, regolare luci (a volte addirittura artificiali inseribili in scena), aggiungere filtri, effetti di profondità, insomma, puoi davvero costruire uno scatto completo, senza dover nemmeno passare dalla post-produzione.
E la cosa bella è che il tempo è completamente congelato: Ellie resterà ferma in quella posizione finché non hai deciso che lo scatto è perfetto. Puoi fare tentativi infiniti, cambiare angolazione, giocare con luci e ombre. Una volta trovato lo scatto giusto, premi il tasto per lo screenshot (che sia su controller o tastiera) e ottieni l’immagine in alta qualità, che poi puoi scaricare, salvare o anche modificare in un secondo momento. Ma già così, il risultato è praticamente pronto per essere pubblicato.
- Quali sono le situazioni che preferisci catturare all’interno di un videogioco? Quali soggetti prediligi?
Una delle mie particolarità è proprio quella di non avere uno stile fisso o un videogioco di riferimento. So che molti virtual photographer si specializzano – c’è chi fa solo ritratti, chi si dedica al Motorsport, chi alla paesaggistica – ma io preferisco accettare ogni sfida. In base al titolo che sto giocando in quel momento, decido che tipo di fotografia realizzare.
Ad esempio, se sono immerso in Gran Turismo, non vedo l’ora di scattare un’auto lanciata al massimo della velocità, magari da un’angolazione dinamica e impattante. Se invece mi trovo su un gioco più classico come God of War, vado a caccia dell’azione pura: momenti in cui Kratos è nel pieno di una combo, oppure durante una mossa speciale, quando la scena esplode di energia.
Un aspetto importante della virtual photography è anche l’avanzamento nel gioco. Prima di mettermi a scattare, cerco sempre di progredire abbastanza nella trama per sbloccare zone altrimenti inaccessibili e ottenere armi, armature o costumi speciali. Questo permette di rendere ogni scatto più unico e caratterizzato.
Prendiamo Horizon Forbidden West ad esempio: all’inizio hai il costume base di Aloy, ma man mano che sblocchi nuovi outfit diventa quasi una corsa per immortalare ogni abito in uno scatto. Succede spesso che, quando esce un nuovo gioco, molti fotografi puntino subito a catturare immagini con le armature più rare o difficili da ottenere – è una sorta di vanto creativo, oltre che fotografico.
Tendenzialmente cerco di mantenere una certa coerenza nei temi quando pubblico i miei post. Se sto fotografando Black Myth: Wukong, ad esempio, voglio dare spazio a tutti i boss affrontati, valorizzandoli in modo spettacolare, quasi cinematografico. Altre volte invece, in giochi più riflessivi o con ambientazioni particolari, mi piace cogliere un momento più intimo o un dettaglio astratto. Dipende molto anche da quello che voglio trasmettere con lo scatto.
La mostra Frame the Game al Cosenza Game Fest
- A che punto siamo per quanto riguarda il riconoscimento della Virtual Photography come mezzo di espressione artistica nel campo della fotografia? Raccontaci l’esperienza, seppure a distanza, del Game Fest di Cosenza.
Negli anni scorsi ho percepito un entusiasmo maggiore verso la virtual photography, sopprattutto durante il periodo della pandemia. In quel contesto, molti fotografi tradizionali, impossibilitati a scattare dal vivo, hanno scoperto questo mondo digitale quasi per necessità. Alcuni lo hanno conosciuto per passaparola, altri semplicemente esplorando i videogiochi che già avevano a casa.
È stato un periodo in cui anche i non gamer si sono avvicinati a questa forma d’arte, proprio perché rappresentava una valvola di sfogo creativa.
Purtroppo, ora che le cose si sono normalizzate, la crescita di questa attività sta andando molto più lentamente di quanto sperassi. Paradossalmente, è ancora poco conosciuta persino tra i gamer stessi: molti si chiedono ancora cosa ci faccia una modalità foto in un videogioco. Poi magari, una volta che ne parli, si incuriosiscono e pensano “Ah, posso farmi il wallpaper del telefono personalizzato!”. E così iniziano a sperimentare.
A livello italiano, la community c’è – esiste ed è attiva – ma non è cresciuta come avrei immaginato. All’estero invece è un altro discorso: ci sono virtual photographer che collaborano stabilmente con software house e che vengono riconosciuti come veri artisti digitali. In Italia, al di là di qualche evento mirato, c’è ancora parecchia nebbia, più per mancanza di conoscenza che di interesse reale.
Proprio per questo ritengo importantissimi eventi come il Game Fest di Cosenza, dove ho avuto la possibilità di mostrare le potenzialità di questa nuova forma d’arte tramite la mostra Frame the Game. Anche se io ho partecipato solo a distanza, trovo fondamentale il fatto che venga mostrato il videogioco sotto una lente diversa, più artistica.
La virtual photography è un gioco nel gioco: una modalità per raccontare emozioni e momenti attraverso uno sguardo fotografico. E la forza di questo mezzo è proprio nella semplicità del messaggio. Magari chi passa in fiera non capisce subito che si tratta di uno scatto videoludico, ma vede una foto forte, emozionante, e si incuriosisce. Quando poi scopre che è stata fatta in un videogioco, si crea un effetto sorpresa che genera stupore e, spesso, rispetto.
Ed è anche questo il mio obiettivo con il progetto Diesmo: portare un’esperienza virtuale nel mondo reale. Una foto, una stampa, una cartolina possono raccontare molto di più di mille parole, soprattutto a chi magari ha pregiudizi verso il mondo dei videogiochi. Una volta che l’immagine è stampata, non è più solo virtuale. È reale, tangibile, comprensibile.
E questo, secondo me, è il vero passo verso un riconoscimento più ampio della virtual photography come espressione artistica a tutti gli effetti. Evento dopo evento, mostra dopo mostra, continuerò a portare avanti questo messaggio.

I consigli per avvicinarsi al mondo della fotografia
- Che consiglio daresti a chi vuole avvicinarsi al mondo della fotografia?
Credo che non esista un unico approccio, perché ognuno ha il proprio modo di viverla: c’è chi si concentra maggiormente sulla tecnica e chi, invece, punta tutto sul raccontare qualcosa. Il mio consiglio, però, è semplice e forse anche un po’ banale: iniziate fotografando ciò che vi piace, ciò che vi appassiona davvero, e non quello che pensate possa piacere agli altri.
Io, per esempio, mi sono avvicinato alla a questo mondo partendo proprio dai videogiochi, una mia grande passione. Volevo semplicemente giocare, ma poi ho scoperto che mi veniva naturale fermarmi a catturare certe immagini. Scatto dopo scatto, ho iniziato a guardare i lavori degli altri, a prendere ispirazione, a dire “ah, non sapevo si potesse fare anche questo!”.
Ed è così che, provando e riprovando, come succede con qualsiasi hobby o passione, si cresce. Magari all’inizio il risultato non è perfetto, ma col tempo si migliora, si sviluppa uno stile, si crea qualcosa di personale.
Un altro consiglio che do spesso è: provate a cominciare con la fotografia nei videogiochi. È un ottimo modo per capire se davvero vi piace questo mondo. Usare lo smartphone può sembrare più accessibile, ma spesso è un’esperienza più casual, mentre in un videogioco puoi creare da zero la scena che hai in testa.
Hai il pieno controllo su luci, pose, ambientazione… senza limiti di tempo, meteo o giudizi esterni. Se vuoi fare ritratti, ad esempio, hai a disposizione personaggi incredibili, programmati per trasmettere emozioni e azioni. È una palestra perfetta.
E una volta che ci si sente pronti, si può passare alla macchina fotografica reale. Da lì, si apre un mondo immenso: io stesso, partendo dai videogiochi, sono arrivato a fotografare interni e architettura, che all’apparenza sembrano mondi lontanissimi. In realtà, sono solo stili diversi. Ognuno può trovare il suo: c’è chi si appassiona alla macro, chi alla street photography o ai reportage.
Ma il punto di partenza deve essere sempre lo stesso: fare ciò che vi piace, senza fretta, con curiosità. Solo così si cresce davvero.

- Qual è il tuo scatto preferito tra tutti quelli che hai fatto da quando ti occupi di Virtual Photography ?
È difficile sceglierne solo uno, perché ci sono tanti scatti a cui sono affezionato. Col tempo, rivedendoli, mi rendo conto che ognuno avrebbe potuto essere migliorato, rifinito meglio. Ma se dovessi sceglierne uno in particolare, quello che sento più mio è sicuramente uno scatto realizzato in Shadow of the Colossus.
In questo progetto, che per me ha un valore speciale, sono riuscito a catturare un momento emblematico: Wander sulla testa del primo Colosso, quello più iconico del gioco, presente nei trailer, nelle grafiche promozionali e sulla cover. In quello scatto, che per molti può sembrare solo una scena d’azione, io vedo un significato molto più profondo.
Vedo il contrasto tra la forza apparente del protagonista e l’innocenza della creatura. Chi conosce il gioco sa che Wander, pur pensando di agire per un fine nobile, sta in realtà compiendo un atto violento verso esseri che non sono malvagi, che reagiscono solo perché provocati. E questo Colosso, in particolare, appare quasi come uno strumento sacrificale, inerme di fronte all’attacco di un essere più piccolo ma più determinato.
La cosa che mi ha colpito, mentre riguardavo quello scatto, è che anche chi non conosce il gioco riesce comunque a percepire questo sbilanciamento di forze: c’è una figura minuscola, in ombra, che sovrasta un gigante apparentemente indifeso. È un’immagine che comunica, che racconta, che fa riflettere. E secondo me, quando una fotografia riesce a fare questo, anche senza il contesto del gioco, ha davvero centrato l’obiettivo.
Le modalità foto di Marvel’s Spider-Man 2, Ghost of Tsushima ed altri
- Quale videogioco ritieni abbia le migliori caratteristiche per la Virtual Photography e perché?
Ci sono diversi punti di vista da cui si può analizzare un videogioco in relazione alla modalità foto. Alcuni giochi hanno una grafica incredibile, ma magari la modalità non è all’altezza. Un esempio potrebbe essere God of War che offre un dettaglio grafico straordinario, ma la modalità foto, purtroppo, non ha gli strumenti avanzati che troviamo in altri titoli. Tuttavia, God of War meriterebbe comunque un palcoscenico dedicato per la sua bellezza visiva.
Dal punto di vista delle funzionalità, Marvel’s Spider-Man 2 è attualmente uno dei giochi che, a mio parere, offre le migliori caratteristiche per la virtual photography. La gestione delle luci artificiali è al top, con effetti davvero stupefacenti. Questi giochi si rivaleggiano tranquillamente con titoli come The Last of Us Parte 1 e 2 , che hanno fatto un ottimo lavoro nell’implementare luci artificiali realistiche e ambientazioni ricche di dettagli.
Questi giochi sono perfetti per chi vuole iniziare con la virtual photography perché combinano una grafica incredibile con strumenti di fotografia virtuale potenti. Inoltre, come ho anche scritto nella mia tesi universitaria, PlayStation ha saputo sfruttare molto bene queste funzionalità, creando giochi che non solo sono bellissimi da giocare, ma che offrono anche contenuti visivi spettacolari da condividere.
Gli appassionati di foto virtuali finiscono per condividere immagini mozzafiato, dando così pubblicità gratuita alla piattaforma, che ne beneficia senza alcun costo.
- C’è una scena o un momento che hai cercato di catturare più volte senza mai essere completamente soddisfatto del risultato? Se sì, cosa ti ha spinto a insistere?
Capita spesso di voler catturare un movimento preciso di un personaggio, e a volte non è facile ottenere il risultato perfetto. Un esempio che mi viene in mente è Ghost of Tsushima, dove la modalità foto non offre la stessa flessibilità che si trova in altri giochi, come Spider-Man, dove puoi posizionare Spider-Man in pose specifiche mentre salta.
In Ghost of Tsushima, il personaggio si ferma solo per un istante quando decidi di entrare nella modalità, quindi la difficoltà è capire quando scattare al momento giusto. Un’animazione in particolare che cercavo di catturare era quella in cui il personaggio, dopo essere caduto dal cavallo, si rialza con un movimento verso l’alto.
Questa animazione, però, non è facile da fermare, e ottenere il frame giusto è stato complicato, specialmente perché dovevo farlo mentre combattevo contro i nemici. Per ottenere lo scatto perfetto, dovevo ripetere più volte questa sequenza, riuscendo a inquadrare i nemici e creare una composizione che avesse senso.
Alla fine, è stata una grande soddisfazione riuscire a ottenere quella posa, perché per arrivarci è necessario conoscere bene il gioco e le sue dinamiche. Quando ho iniziato, non avevo ancora questa esperienza, quindi c’è stato un vero e proprio studio delle animazioni e dei movimenti di Ghost of Tsushima. Ogni gioco è diverso e richiede un approccio specifico.
Nel caso di Ghost of Tsushima, la sfida era anche legata alla vasta quantità di opzioni offerte dalla photo mode, che include dettagli come il movimento del vento, le foglie, i filtri e le impostazioni ambientali. A livello tecnico, è un po’ carente, ma dal punto di vista artistico è stato un piacere sperimentare con queste possibilità.
Ogni volta che ottenevo un buon risultato, mi sentivo come se avessi superato una vera e propria sfida. Solo per questo scatto ho impiegato più di un’ora e mezza prima di riuscirci.

- Noi ti ringraziamo per la disponibilità, ma prima di andare vorremmo conoscere un aneddoto sui tuoi lavori.
Un aneddoto curioso che mi capita spesso riguarda il contrasto tra la modalità foto e quello che invece scelgo di utilizzare per le sponsorizzazioni. Molte delle mie foto più conosciute sono scattate con la modalità dedicata del videogioco, ma uno degli scatti più iconici che ho usato per promuovere il mio lavoro è in realtà uno screenshot, scattato senza la modalità avanzata. Parlo dello scatto del Elden Ring di Frame the Game, che è anche la copertina della mia mostra.
Mi diverte molto questo contrasto, perché in realtà non sempre è necessario avere strumenti super avanzati per catturare qualcosa di speciale.
Se un gioco ha un’ispirazione artistica forte, basta il giusto momento, il giusto frame, per ottenere un’immagine che può trasmettere molto più di una foto perfetta scattata con una modalità avanzata. Eppure, quella stessa immagine che ho usato per la mostra non era fatta con la photo mode, ma semplicemente con uno screenshot.
Un altro aneddoto che mi viene in mente riguarda la reazione di molte persone quando racconto loro che faccio fotografie nei videogiochi. Molto spesso mi dicono: “Ma come? Cosa vuol dire fare fotografie di un videogioco?” e si creano momenti di grande confusione.
La domanda più frequente è se utilizzo la realtà virtuale, ma io spiego sempre che fotografo all’interno di un videogioco, usando una macchina fotografica virtuale. E se non lo conoscono, non riescono a immaginare come possa funzionare.
Ma in realtà, è molto semplice: il lavoro degli sviluppatori, dei creatori di mondi e dei designer 3D è già stato fatto, e io mi limito a scegliere un punto di vista che racconti una storia diversa, usando quel mondo già creato per offrirne una nuova interpretazione.
Quello che trovo divertente è che, quando lo spiego, è sempre un po’ difficile farlo in pochi secondi, quindi mi capita spesso di dire: “Aspetta, ti faccio vedere” e di mostrare loro un video in cui apro la modalità foto, faccio il mio gameplay e poi mostro il risultato finale. Così capiscono subito cosa intendo!
Classe 93, dall'animo nerd, da sempre appassionato del mondo videoludico. Alcune leggende sostengono sia nato con un controller in mano. Negli anni scopre di avere una particolare predisposizione per le interviste. Odia più di ogni altra cosa la console war.