Neurologia delle emozioni: nella mente di Ellie

ellie the last of us
Informazioni sul gioco

Questo articolo su The Last of Us Parte II sarà diverso dagli altri: potrebbe essere un diario aperto, una profonda riflessione condivisa in totale empatia o… un modo per guardarci allo specchio.

La sofferenza fa breccia nel nostro cuore tormentato: essa non avvisa, non bussa con delicatezza presentandosi educatamente. Ci trafigge improvvisamente come se non meritassimo un saluto e scava nelle nostre viscere, sentendo ogni singolo colpo affondare e soffocarci.

Più siamo umani, meno siamo capiti. Più soffriamo, meno siamo umani.

Joel

Giudicare il dolore altrui, da un punto di vista esterno, ci riporta immediatamente al giudizio morale impersonale, plasmandosi nella frazione di qualche secondo in modo prettamente cinico e critico. Esso nasce e si dirama sotto forma di radici pungenti e macabre, mettendo piede sotto la terra sporca e infiltrandosi in ogni cellula del nostro corpo. Nel Grounding and Centering i nostri piedi sono ancorati al terreno e diventano un tutt’uno con la natura, radicandoci ad essa in un’unione sacra. La sofferenza radica le nostre fondamenta in un baratro infinito dalle sfumature melmose, ci fa dimenticare chi siamo e ci sentiamo in un vero lutto: chi perdiamo? Noi stessi.

Quando perdi te stesso voli giù, negli abissi, in una caduta infinita in cui continui a sbattere contro ogni ostacolo con violenza. Sei lì, nell’oscurità fredda e tagliente che ti stringe il collo con violenza e ti mozza il respiro. Esistono momenti in cui il dolore è così forte da credere di morire, in cui ci si sveglia al mattino e ci si pente di essere ancora vivi. D’un tratto, in quel dipinto nero pece fa capolino una macchia sgargiante, dal colore purpureo, che pare illuminare tutto in modo estremamente intrigante: la vendetta. Nel baratro della sofferenza, a volte, essa è l’unica cosa che può farci sentire vivi, come un modo disperato per non andare avanti, un alibi che va contro la nostra stessa essenza. Il dolore ci rende mostri, ci priva della nostra anima, quella vera: il cuore fragile e pregno di umanità si trasforma in un abominio glaciale pronto a uccidere chiunque ci si pari davanti. Vorremmo davvero? No, ma è ciò che siamo diventati. Che sia un processo di transizione per superare il dolore o meno, in quelle uccisioni si cela un agglomerato di dolore, rassegnazione e rabbia.

Perché tu? Perché… io?

The Last of Us Part II

Ellie, in The Last of Us Parte II, è un personaggio apparentemente semplice da analizzare: ci sbagliamo di grosso. Il suo aspetto psicologico è estremamente complesso, per cui comprendere le sue azioni può rivelarsi confusionario e controproducente. Conosciamo i meandri tortuosi della nostra mente, le innumerevoli strade del cuore e le infinite vie della sofferenza, eppure non riusciamo ad analizzare le azioni altrui. Secondo la nostra concezione esterna tutto è bianco o nero: se decidi di perdonare qualcuno sei un perdente, se uccidi qualcuno (ludicamente parlando, ovviamente) sei un essere senza cuore.

Le emozioni sono scaturite da un complesso processo neurologico, così come le nostre azioni. In questo articolo voglio portarvi nella mente di Ellie, esplorando neurotrasmettitori, amigdala e altre parole complesse ma assolutamente importanti. Esporrò i più profondi pensieri sulla sofferenza, la solitudine e il senso di impotenza, ma cercherò di farvi inquadrare il profilo psicologico della protagonista, analizzandolo insieme a voi. È da notare bene che non esprimerò alcun giudizio sul gioco, ma noi di VideogiochItalia possiamo assicurarvi che arriveranno nuovi contenuti interessanti, in grado di esplorare il titolo Naughty Dog sotto ogni sfaccettatura.

Perché esiste la sofferenza

Il sistema umano è in grado di auto-eco-organizzarsi affinché possa sempre trovare soluzioni positive e ottimali. Nel percorso della nostra vita, tuttavia, cominceremo a soffrire da neonati, che sia per la mancanza del seno della mamma o per altri motivi decisamente normali. La sofferenza è ciò che suscita il caos dentro sé, esattamente come affermato da Nietzsche in Così parlò Zarathustra.

Lo stato emozionale di Ellie si trasforma in una triade di emozioni ben differenti, seppur collegate tra loro tramite un filo invisibile che non è altro che un processo neurologico di elaborazione.

La suddetta triade si distingue tra: depressione e ruminazione, rabbia e vendetta e, infine, l’incognita del perdono.

The Last of Us Part II

Da un punto di vista neuropsicologico le aree coinvolte nella depressione sono le aree prefrontale, il cingolo anteriore e il sistema limbico, a cui sono correlati una serie di circuiti. La persona depressa è in un vortice di pensieri inarrestabili, deleteri e svalutativi, da cui non riesce a uscire: la sua mente è bloccata, ogni cosa perde valore, la vita non merita di essere vissuta e prevale una profonda insoddisfazione. La parte orbitofrontale laterale è esclusa dal meccanismo della gratificazione, generando il senso di perdita di se stessi, oltre a una scarsa autostima. Il sistema limbico, l’ippocampo e l’amigdala giocano un ruolo essenziale, trattandosi delle sedi delle emozioni, dell’elaborazione di risposte affettive adeguate e della rievocazione dei ricordi.

Un’eccessiva stimolazione da parte dell’amigdala porta alla ruminazione, sfociando nel vortice inarrestabile di pensieri negativi e deleteri. È evidente, quindi, il non funzionamento dell’interazione tra corteccia prefrontale e sistema limbico,  che dovrebbero regolare l’emotività e l’impulsività. L’insorgere della depressione è determinato dalla presenza di bassi livelli di noradrenalina, serotonina e/o dopamina: si tratta di una problematica risolvibile, ma molto difficile da gestire da soli. Ellie risulta così inizialmente, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente divorata da pensieri che probabilmente il gioco vuole farci dedurre in modo intrinseco. Ciò a cui assiste durante la storia, causa principale del suo cambiamento (e non solo), si è impresso con forza nella mente, provocando una forte impotenza a liberarsi da quei pensieri soffocanti e malinconici. Tristezza, mancanza, rabbia, fragilità, rimpianto: la ragazza proverà infinite emozioni difficili da comprendere. Come già anticipato prima, io stessa inizialmente ho faticato a comprendere la motivazione di alcuni comportamenti. La mente è un labirinto contorto in cui ci si perde: tutto sembra uguale, ogni dettaglio ha le stesse sfumature e riuscire a distinguerle con occhio razionale e critico è quasi impossibile. Nel caso di The Last of Us Part II, la ruminazione non porta a una sorta di masochismo, bensì a un desiderio di rivalsa e punizione: subentrano la rabbia e la vendetta, plasmandosi e insinuandosi (simbolicamente parlando) in ogni cellula del corpo. Il dolore, dapprima tetro e vuoto, si trasforma in motivazione, voglia di cambiare le cose e ribaltarle, seppur talvolta in modo sbagliato.

Serotonina

La rabbia è facilmente riconoscibile dai classici scatti d’ira: secondo uno studio condotto da Neus Herrero, dell’Università di Valencia, seguirebbero un aumento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della produzione di testosterone.

Cosa succede al cervello quando questo sentimento prevale? La sua attività si concentra prettamente sul lato sinistro, rispetto a quello destro. Studi di tipo neurochimico hanno dimostrato che il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto è la serotonina, molecola che regola l’umore, il sonno, la sessualità e l’appetito.

Il fulcro del comparto narrativo si fonda sulla sua base primaria: Ellie si arrabbia e mostra la tendenza naturale di avvicinarsi all’artefice per cercare di eliminarlo. Ogni singolo elemento è caratterizzato da particolari riflessi emotivi e cognitivi in seguito a un atto offensivo. Due circuiti si aggiungono alla rabbia, ovvero la paura e il disgusto; la prima agisce sull’amigdala, il secondo sulla corteccia insulare. Secondo lo schema fight or/and flight, studiato dal Cognitive Neoassociationistic, un evento negativo scatena due reazioni opposte che intervengono contemporaneamente. La persona interessata sperimenterà sia una tendenza fight, che stimola una strategia di attacco, ma anche una tendenza flight che porta a sottrarsi all’azione; rabbia e disgusto si troverebbero agli estremi opposti. Come possiamo notare, sia per esperienza personale che impersonale, lo stato iniziale della rabbia si plasma in un senso di malessere e una cattiva percezione di se stessi. L’attivazione dell’insula ci farà provare disgusto e intolleranza, sia quando riceviamo un torto che quando vediamo qualcuno in difficoltà.

The Last of Us Part II

Segue il piacere della vendetta, rappresentante una fonte di gratificazione deleteria ma intensa. Questo principio primordiale apparve già nella letteratura, nella mitologia e nella religione. La vendetta è un meccanismo incontrollabile, forte, viscerale, in grado di farci sentire temporaneamente invincibili. Quasi sempre essa non si ottiene in modo più o meno bilanciato rispetto al torto subito, bensì viene raddoppiata, come spinta motivazionale per ritrovare un equilibrio che dapprima ci ha devastati. La neurologia di questo sistema così intrigante si fonda sui processi di ricompensa e punizione a base dopaminergica. Vendicarsi, rispetto a un puro scatto di rabbia impulsivo e non pensato, richiede una vera e propria strategia, un’elaborazione attenta e accurata che va costruendosi progressivamente, come un cacciatore che ambisce alla sua preda.

Anche in questo caso l’amigdala giocherà un ruolo fondamentale. L’ho citata più volte, per cui potrebbe sorgere una domanda più che lecita: di cosa si tratta?

L’amigdala fa parte del sistema limbico, formato da neuroni che utilizzano la noradrenalina, un neurotrasmettitore del sistema nervoso simpatico. Nel caso, ad esempio, della paura, l’intreccio psicofisico è pressoché automatico, seppur non istantaneo: l’emozione risiede dapprima nella mente e, successivamente, viene comunicata al corpo.

Un bivio inconcepibile… all’apparenza

(*) Questo paragrafo contiene MAJOR SPOILER

Ellie e Joel

L’appagamento della vendetta trova una conclusione inaspettata, in alcuni casi, facendo prevalere un altro aspetto importante: il perdono. Riuscire a perdonare qualcuno è estremamente difficile perché richiede una razionalità non indifferente, insieme all’analisi di vari aspetti emotivi e totalmente impersonali. Esso richiede di entrare nella mente della persona che ci ha ferito, e quando si è accecati dal dolore e dalla rabbia non è affatto facile. Potremmo definirlo uno sforzo sovrumano, in un certo senso. Il perdono rappresenta un processo di superamento, il riconoscimento dei propri errori e, soprattutto, la motivazione delle colpe altrui. Cosa ha spinto, in questo caso Abby, a commettere determinate atrocità? È poi così diversa da Ellie?

Ciò che è importante è riconoscere le ragioni dell’offensore nel compiere determinate azioni, verificarne la sincerità e comprenderne il pentimento. Dalle indagini effettuate in neuroscienze sono state accertate variazioni funzionali di regioni celebrali connesse, insieme all’elaborazione di risposte empatiche, al controllo cognitivo e alla modulazione delle risposte avverse.

L’intero processo, per poter essere superato e perdonato, deve essere rielaborato sia da un punto di vista emotivo che cognitivo. È facile giudicare dall’esterno, vedere e valutare gli avvenimenti in modo impersonale e con impulsività: Abby ha commesso atrocità, quindi ha torto. Ellie si è scagliata contro centinaia di persone, quindi è una persona senza cuore. Giudicando la situazione con occhio critico e razionale, tuttavia, sorge una domanda: le due ragazze, vista la situazione presente e il loro passato, hanno davvero torto? Io credo che, in fin dei conti, siano entrambe vittime di un triste mondo in cui l’umanità spesso dimentica di essere tale. Abby ha pianto suo padre e nella sua mente si è innescato il meccanismo di depressione, ruminazione, rabbia e infine vendetta. Ellie, allo stesso modo, come in una catena, ha visto Joel morire, volendosi vendicare a sua volta. Sarebbe stato davvero giusto?

Abby

Non sono state poche le reazioni negative nei confronti della scelta finale di Ellie: dopo tutto ciò che il giocatore ha vissuto insieme a lei, dopo tutte le uccisioni a sangue freddo, perché perdonare?

Personalmente, a primo impatto, avrei preferito seguire una linea di coerenza: nulla di più appagante uccidere qualcuno dopo un grande torto e un’immensa sofferenza. Se nel gioco fosse stata possibile una scelta, la maggior parte delle persone avrebbe scelto di uccidere Abby. Come avete potuto vedere, la vendetta si fonda sul meccanismo di ricompensa e punizione ed è estremamente difficile da controllare. La sensazione ricavata da essa è quadruplicata, così intensa da accecarci tanto quanto il più animalesco istinto sessuale. Vendicarsi è facile, perdonare è difficile.

Sono stata la prima a chiedermi il motivo per cui fermarsi dopo aver letteralmente ucciso centinaia di uomini. Fermiamoci noi, per un attimo, e pensiamo alla nostra vita, accantonando anche il fattore omicidio.

Percorrere una strada sbagliata, con i suoi errori annessi, non significa automaticamente che non si possa cambiare percorso, soprattutto quando si arriva alla destinazione finale. Vi è mai capitato di commettere innumerevoli sciocchezze per raggiungere uno scopo e, improvvisamente, cambiare idea e realizzare che non ne valesse la pena? Nel caso di Abby, soprattutto, che senso avrebbe avuto ucciderla se lei in primis ha sofferto, proprio come Ellie? Sarebbe cambiato qualcosa o ci sarebbe stata l’ennesima ingiustizia deleteria che avrebbe impedito la ricostruzione di un mondo migliore?

The Last of Us Part II

Essere migliori significa lavorare su se stessi, riuscire ad essere razionali ed elaborare anche le emozioni altrui, per quanto possa essere difficile. Se avessi assecondato il mio istinto, nell’esperienza videoludica, avrei sicuramente scelto la strada più facile e gratificante: uccidere Abby. Perdonare è uno degli atti più difficili in assoluto. Perdonare significa fermarsi, mettersi a nudo, mettere in pausa la propria essenza centrale e focalizzarsi su quella altrui, per realizzare che in fondo non si è poi così diversi. Ci rendiamo conto che, alla fine, anche noi abbiamo commesso errori atroci che hanno portato sofferenza e dolore, e l’unica strada per cambiare è quella di migliorare noi stessi e il nostro modo di vivere le emozioni.

We could change it all… conclusioni

Entrare nel cuore di un gioco significa fondersi all’emozione stessa. Non c’è occhio critico che tenga, non esiste razionalità o freddezza: l’emozione va vissuta in modo viscerale, plasmata e toccata senza limiti. Provare sensazioni è umano e, in cuor mio, credo che questo sia uno dei miei articoli più umani per VideogiochItalia. Concludo riportandovi al trailer del gioco, nel caso non l’aveste ancora giocato, ricordandovi che è disponibile per PlayStation 4 ed è uscito il 19 giugno. Mi rivolgo, inoltre, alle persone che hanno già avuto modo di sperimentare questa esperienza videoludica, lasciandovi con una canzone che reputo perfetta sotto ogni singolo aspetto.

“We’re standing face-to-face
With our own human race
We commit the sins again and our sons and daughters pay
Our tainted history, is playing on repeat
But we could change it if we stand up strong and take the lead”

Nel riflesso di Ellie

(*) Questo paragrafo contiene SPOILER, motivo per cui, scorrendo la pagina, non saranno presenti immagini di alcun tipo

Ellie

Riflettersi nella figura di Ellie è estremamente difficile. Ci ho provato, ho aperto il mio cuore in modo onesto e genuino mettendo a nudo le mie stesse fragilità, scrivendo questo testo per voi:

Stanze impolverate che fungono da tombe per i ricordi. Ombre che torturano e martellano la mente con avidità.
A chi appartenevano quei vecchi CD consumati?
Vecchie polaroid da bruciare, attaccate a uno specchio antico che ha vissuto riflessi di amori, litigi, umani di passaggio e scheletri nell’armadio.

Cammino da sola, non so dove andare.

E se, invece, avessi finalmente una meta?
Se avessi uno scopo per vivere e fosse la mia vendetta?
Poter sentire la forza scorrere nelle mie vene e il potere, a differenza di quei momenti in cui mi sono lasciata trafiggere, sanguinando e piangendo, in un mix penoso.
Ero sola, tutto dipendeva da me. L’unico motivo che mi teneva ancora in vita era la vendetta.
Erano odori diversi, quelli di qualche tempo fa, così come i suoni e i colori. Ero diversa, proprio come la mia anima.
Se mi volto indietro sento il dolore trafiggermi il cuore in modo vivido, squarciando la ferita con crudeltà, come se non fosse mai guarita. Come se fosse lì ad aspettarmi.
Qualcosa dentro me mi lacera in un angosciante senso di colpa, qualcosa per cui non mi perdonerò mai.
Qualcosa che mi porta a odiare il mondo, me stessa e le stesse persone per cui sto piangendo.

Questa vendetta è per qualcuno o… per punire me stessa, in qualche modo?
Qualsiasi posto mi circondi è diventato un campo di battaglia in cui, inesorabilmente, o uccidi o vieni ucciso.
Vorrei andare avanti, percorrere questo sentiero tetro e ignoto che nasconde segreti meravigliosi. Non ci riesco.
La sua ombra mi stringe il polso con fermezza e cerca di tenermi ancorata al suolo.
Il suo ricordo, eppure, mi culla nonostante tutto.
Avrei avuto tante cose da dirgli piuttosto che guardarlo e abbozzare un sorriso o fare spallucce.
Avrei voluto tenerlo accanto, sedermi al suo fianco e osservarlo suonare la chitarra ancora una volta.
Era bravo, un po’ buffo, ma incredibilmente dolce. Incredibilmente… paterno.

Non voglio più pensare al passato.
Non posso, non devo.
Qualsiasi cosa, eppure, mi ricorda lui; che sia un odore, una canzone o il cielo stellato.

Hai raggiunto la luna prima di me, e in cuor mio avrei voluto affrontare questo viaggio insieme.
Insieme, come lo siamo stati in quegli anni in cui cercavi di non affezionarti, soffocando qualsiasi pensiero genuino perché ti ricordavo Sarah.
Ora sei con lei, spero; io sono qui però, senza te.
Ti odio, Joel. Ti odio e odio me stessa. Vorrei non provare nulla, vorrei essere un automa incapace di provare emozioni. Vorrei essere senza cuore.
Ci ho provato, ho ucciso chiunque intralciasse la mia strada. Mi sono prefissata di vendicarti affinché tu potessi perdonare me.

Dobbiamo perdonarci a vicenda.
Ho fallito: per l’ennesima volta sono andata contro ogni tuo insegnamento, ho seguito l’impulsività proprio come hai fatto tu, e come te stavo per cadere in trappola.
Avrei vinto, appagando il meccanismo contorto della vendetta, ma gli abissi mi avrebbero trascinata giù per l’eternità.
Sento di non essere riuscita a dimostrarti la mia gratitudine, mi sento come se… ti avessi solo ferito inevitabilmente senza aver avuto il tempo di spiegarmi.
Avrei voluto dirti così tante cose, avrei potuto dedicarti una canzone alla chitarra.

Non riesco più a suonare, ogni singola nota mi ricorda te e il tocco delle corde mi lacera l’anima.
I ricordi diventano nitidi e atroci. Vedo il tuo viso sorridermi e fidarsi ciecamente di me con totale ammirazione.
Riuscirai mai a perdonarmi? Riuscirò mai a perdonarti?
Spero che tu e Sarah siate finalmente insieme, stretti in un abbraccio etereo. Vi raggiungerò, prima o poi.
Ora devo capire chi sono, costruire la mia vita sulle orme del presente, percorrendo le mie stesse impronte e non quelle degli altri.
Il dolore prima o poi passerà e si trasformerà in una cicatrice; rappresenterà il tatuaggio impresso nell’anima, pronto a ricordarti e rappresentarti.

Una cosa è certa: non ti scorderò mai e tra quelle stelle ti cercherò, sempre e per sempre.

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