Sui più famosi social network è facile imbattersi in discussioni legate ad argomenti tecnici che scoperchiano purtroppo come l’utenza sia ormai vittima inconsapevole del marketing dei produttori hardware (in quanto priva degli strumenti critici per potersi difendere). Ad alimentare questo vuoto culturale sono anche le testate giornalistiche impegnate da mesi a condividere notizie sulla prossima generazione di console, che sono sì corrette in ottica informativa, ma non abbastanza dettagliate per rendere chiara la questione anche a chi non dispone delle giuste conoscenze.
Per comprendere al meglio questo fenomeno, basta scorrere a ritroso le pagine del tempo in quanto ne abbiamo avuto dimostrazione con Xbox One X e Playstation 4 Pro. Dispositivi premium di mezza generazione destinati non a soppiantare le versioni base ma semplicemente rivolti a un target più esigente e disposto a investire nelle più recenti tecnologie audio-video. Va sottolineato infatti come le console non siano più semplici dispositivi da gioco ormai da diverse generazioni, fin da quando Playstation 2 debuttò con un lettore DVD di serie che le permetteva di uscire dalla cameretta dell’adolescente per spostarsi in salotto, accontentando tutta la famiglia. Ad oggi possiamo parlare di stazioni multimediali a tutto tondo che hanno poi rincorso l’evoluzione dell’elettronica di consumo a partire proprio dai tanti standard che regolano il mercato, tra cui gli standard di risoluzione.
One X e Ps4 Pro sono dunque console pensate per abbracciare lo standard UltraHD 4K che nel settore televisivo corrisponde a una risoluzione di 3840 x 2160 abbinata ad una gamma dinamica, il famoso HDR, con al seguito ulteriori classificazioni.
L’utenza ha però frainteso le reali intenzioni di queste console mid-gen confondendo lo standard di risoluzione in output con la risoluzione di rendering dei giochi, un errore su cui l’utente medio scivolava già nella generazione di Xbox 360 e Playstation 3, un errore che si continua a fare anche all’alba della Next-gen e proprio per questo è doveroso chiarire la questione una volta per tutte.
Indice
Il totale caos degli standard
Il primo passo va fatto in direzione degli standard di certificazione. Sono nomenclature o sigle che teoricamente dovrebbero semplificare le scelte del compratore quando si trova a fare i conti con l’acquisto di un nuovo dispositivo elettronico. Nel nostro caso specifico parliamo ovviamente di televisori o monitor a cui collegare le nostre console.
Nonostante l’intento nobile, la grande varietà di acronimi rischia di confondere ancora di più l’utente impreparato, che finisce con il fidarsi ciecamente del marketing dei produttori. Per capirci: uno degli standard diffusi di recente riguarda la questione della gamma dinamica, o per meglio comprenderci, sfruttando la dicitura anglofona l’High Dynamic Range, abbreviato in HDR. Una sigla che di fatto identifica una moltitudine di variabili e certificazioni, abbiamo l’HDR 400, l’HDR 600, l’HDR 1000, abbiamo poi il Dolby Vision, l’HDR10 e l’HDR10+. Un marasma di lettere e numeri tra cui è difficile districarsi ed è dunque essenziale cercare una costante che sia poi applicabile in ogni circostanza. Nel caso dell’HDR la costante è la luminosità di picco. Essendo una tecnologia che riguarda la variazione di luminosità in crescendo tra il nero/buio e il bianco/luce, le certificazioni avvengono misurando il picco massimo di luminosità che un pannello è in grado di restituire quando riceve in ingresso una sorgente compatibile con l’HDR. HDR 400 dunque implica una luminosità massima di 400 nits, unità di misura della luminanza, mentre HDR 600 implica un picco di 600 nits e così via per le altre certificazioni. Discorso diverso per i formati HDR come Dolby Vision e HDR10. Un pannello può infatti riportare la compatibilità con l’HDR10 e poi una successiva certificazione tra quelle che abbiamo affrontato, ma al contempo potrebbe non essere compatibile con l’altro formato più diffuso che è il Dolby Vision.
Questa superficiale infarinatura sull’HDR non ha lo scopo di sciorinare oggi una dettagliata spiegazione, ma solo quello di dimostrare quanto siano effettivamente contorte la certificazione e la classificazione dei vari standard. Per fortuna, quando si tratta di risoluzioni, la situazione è meno ingarbugliata, sebbene si dovrebbe fare subito un primo distinguo tra monitor e televisori, in quanto i secondi hanno seguito una ferrea logica evolutiva, lasciando ai primi una maggiore libertà in termini di formati. Le console però sono dispositivi pensati per il salotto e di conseguenza, nonostante siano molti i giocatori che prediligono la soluzione monitor più scrivania, noi ci concentreremo sul fronte dei televisori.
Come abbiamo detto, le console sono dispositivi multimediali appartenenti al settore dell’elettronica di consumo e di conseguenza non possono sfuggire a queste regole e certificazioni atte a delineare una compatibilità tra i vari dispositivi. Una console come Playstation 4 Pro dunque dev’essere certificata come compatibile con il formato UltraHD 4K e per farlo deve rispettare alcuni specifici requisiti, tra cui la possibilità di inviare al pannello in uso un’immagine con una risoluzione di 3840 x 2160. La risoluzione è dunque la nostra costante in questo caso, ma l’errore che viene fatto da parte dei giocatori è quello di applicare questa regola non solo a livello hardware ma anche a livello software.
Risoluzione di output e Risoluzione di rendering
Nell’era di Xbox 360 e Playstation 3 Microsoft e Sony adottarono strategie informative differenti per quanto riguardava la stampa delle copertine fisiche dei giochi. Sul retro della cover, nel piccolo riquadro destinato alle specifiche, Microsoft riportava la risoluzione di output dichiarando sempre lo standard di 1080p, ovvero il famoso FullHD, mentre Sony variava la dicitura riportando spesso un massimo di 720p.
I motivi dietro a questa differenza erano molteplici e non conviene affrontarli oggi, ciò che davvero conta è che in realtà le specifiche riportate riguardavano unicamente la risoluzione di output, non quella di rendering. Una differenza che pochi utenti conoscevano e a quanto pare che ancora in pochi conoscono.
La risoluzione dei giochi, dei singoli giochi, non è vincolata al rispetto di qualche standard particolare ma si piega alle esigenze computazionali del software e viene decisa dai programmatori in fase di sviluppo. Per questo pretendere da Xbox One X e Playstation 4 Pro ogni gioco a una risoluzione di 3840 x 2160, come spesso si legge sui social, è totalmente fuori luogo e denota una scarsa competenza tecnica da parte dell’utenza. One X e Ps4 Pro sono di fatto console pensate per i televisori UltraHD 4K, sono console che abbracciano i requisiti necessari atti a sfoggiare sulla confezione un logo che ne evidenzia la certificazione, ma, quando poi si tratta di renderizzare in tempo reale un videogioco, sono gli sviluppatori a decidere quante risorse investire nel numero di pixels visualizzati e lo fanno in relazione alle esigenze del gioco stesso, del budget investito sul progetto e del tempo a loro disposizione per ottimizzare il codice. Per quanto assurdo possa sembrare, il ruolo dell’hardware è addirittura secondario, in quanto renderizzare in 3840×2160 era possibile già nella generazione scorsa, come hanno dimostrato gli sviluppatori Capcom con il loro Okami HD su Playstation 3. Un gioco che la console Sony renderizzava internamente a una risoluzione molto vicina a quella standard dell’UltraHD, per poi applicare un processo di downsamplig alla risoluzione standard di output in FullHD (1920 x 1080). Essendo Okami un gioco nativo dell’epoca Playstation 2, la sua scarsa richiesta in termini computazionali ha permesso agli sviluppatori di distribuire la maggiore potenza di Playstation 3 nel pixels-count, monito di come lo sviluppo di un videogioco si leghi a tantissimi elementi tecnici che di fatto trascendono la sola risoluzione video. Per questo motivo su ogni console esistente i giochi, singolo gioco per singolo gioco, offrivano ed offrono risoluzioni differenti con soluzioni differenti.
Su Xbox 360 e Playstation 3 vi erano giochi con una risoluzione nativa di 1920 x 1080, in linea con l’allora standard di riferimento FullHD, altri con risoluzione di 1280 x 720, che era poi quella più adoperata, altri ancora avevano risoluzioni fisse ma definite sub-HD, come i vari Call Of Duty, che sacrificavano il numero di pixels renderizzati per garantire 60 frames al secondo, o ancora giochi con soluzioni dinamiche, dotati di una risoluzione nativa che aumentava o diminuiva a seconda del carico sulla GPU (il processore grafico). Questo vasto spettro di variabili lo abbiamo anche nella generazione corrente, con risoluzioni differenti a seconda del gioco e della console di riferimento, e si ripresenterà in egual misura durante il prossimo ciclo hardware. Ergo la risoluzione di rendering non è una costante e non va intesa come tale.
Playstation 5 e Xbox Scarlett compatibili con lo standard 8K
Ed ecco spiegate le dichiarazioni dei produttori hardware pronti a confermare una risoluzione di 8K sui loro prossimi dispositivi, una dichiarazione che trova fattualità anche solo che nell’interfaccia adoperata. Tra i vari standard esistenti esistono classificazioni legate anche alle interfacce, ovvero (per capirci) legate al tipo di cavo che adoperiamo per collegare le nostre console al televisore. L’interfaccia più conosciuta e diffusa è l’HDMI, giunta oggi alla versione 2.0. Con HDMI 2.0 si identifica una soluzione in grado di trasferire un flusso dati con risoluzione di 3840 x 2160 e HDR a 60Hz. Gli Hertz sono un altro elemento ancora che riguarda la frequenza con cui un pannello aggiorna le immagini, 60Hz si traduce in 60 aggiornamenti al secondo, e anche per gli Hertz (così come per la risoluzione) la sola compatibilità non implica videogiochi a 60 fotogrammi al secondo.
L’evoluzione costante delle interfacce segue quella dei pannelli video e l’HDMI 2.1 è già pronto per sostenere il futuro standard televisivo degli 8K. Un passo avanti in termini di data-rate che sarà in grado di coprire non solo una risoluzione di 7680 x 4320 con HDR, ma anche, volendo, di gestire un 4K ad una maggiore velocità di refresh, sino a 120Hz. Queste specifiche sono insite nell’interfaccia HDMI 2.1 e siccome Ps5 e Scarlett avranno senza dubbio questa compatibilità nativa, godranno di conseguenza della certificazione in questione.
I produttori hardware non hanno dichiarato il falso come molti pensano, ma è altrettanto errato aspettarsi o addirittura pretendere giochi con una risoluzione di 4320p. Potrebbe succedere in quei titoli meno ingordi di risorse, vedi i prodotti low budget, in 2D o anche produzioni poligonali ma senza eccessive pretese tecniche, è però parlando in termini di produzioni Tripla A che, a partire da quelli che saranno i futuri “assets grafici generazionali”, è molto più opportuno aspettarsi come target medio di risoluzione l’attuale 3840 x 2160, alternato a titoli con tante risoluzioni diverse ed altrettante soluzioni (magari un rinnovato checkerboard) proprio come accade fin da sempre. Lo stesso principio si applica al numero di fotogrammi al secondo: come per la risoluzione, sono gli sviluppatori a prefiggersi un frame-rate target, singolo gioco per singolo gioco. I 120Hz potrebbero non essere mai sfruttati realmente fronte gaming, così come potrebbero invece trovare utilità quando abbinati al Freesync (Variable Refresh Rate), altro requisito insito nello standard HDMI 2.1; un’innovazione che già da tempo è presente sui Monitor per PC e che finalmente debutterà anche nel mondo dei televisori, permettendo alle console di gestire un frame-rate variabile senza preoccuparsi di artefatti fastidiosi come tearing o stuttering.
Conclusione
Mettendo ora da parte tutte queste diciture che potrebbero ubriacare anche chi dispone delle basi per comprenderle è il principio alla radice del testo che conviene evidenziare: risoluzione standard di output e risoluzione di rendering dei giochi sono parametri differenti e distinti. I produttori hardware si guardano bene dall’approfondire le loro dichiarazioni e sta dunque poi all’utenza tutelarsi per non finire intrappolati nella ragnatela del marketing. Un marketing che di fatto è veritiero in quanto basato sul principio degli standard e delle compatibilità, ma che se incompreso può ingigantire le nostre aspettative. Se dunque avete appena iniziato il vostro percorso culturale per comprendere tutti questi elementi in costante evoluzione, la speranza è che questo articolo possa rappresentare il vostro primo passo nella giusta direzione. Sarà un percorso lungo e irto di ostacoli ma sulle pagine di Videogiochitalia non mancheremo di procedere assieme a voi con ulteriori approfondimenti tecnici sui più disparati argomenti.