Nell’ultimo periodo abbiamo avuto un bel da fare, con i molti videogiochi usciti dall’inizio dell’anno (come il ritorno di Metal Gear Solid, WWE 2K24, ma anche titoli più piccoli come Venice 2089), e dunque eccoci oggi tornare con una recensione, questa volta per un videogioco insolito come Harold Halibut, di cui avevamo già avuto modo di darvi le nostre prime impressioni.
Ma vediamo quindi quanto ci ha convinto e quanto magari ci ha fatto emozionare il team tedesco di Slow Bros. e del suo director Onat Hekimoglu con questo loro videogioco.
Indice
Fra retrofuturismo e pianeti alieni: il mondo di Harold Halibut
Sarà che è periodo, oppure sarà che non passa mai di moda e ha sempre con se un fascino senza tempo, ma Harold Halibut si pone nel solco della fantascienza basata sul retrofuturismo, ovvero quel sottogenere sci-fi in cui si immagina un futuro come poteva essere immaginato nel passato.
Esempi di questo particolare sottogenere li abbiamo, in ambito videoludico, nella serie di Bioshock, così come ovviamente nella saga di Fallout (di cui recentemente abbiamo anche recensito l’omonima serie Amazon).
Ecco, in particolare a Bioshock abbiamo pensato fin dai primi accenni di Harold Halibut, per alcuni specifici elementi narrativi e visivi. Siamo su di un pianeta alieno, su cui un razzo di fortuna è precipitato, dopo una fuga dall’oramai distantissimo (nel tempo e nello spazio) pianeta Terra.
Quel razzo, ora divenuto la colonia umana sottomarina di Fedora I, è la precaria dimora di vite conflittuali e spesso tristi: un mondo alieno e sconosciuto, un futuro incerto tanto quanto il passato e il presente, la speranza e gli sforzi di poter tornare sulla Terra.
E, in tutto questo, un po’ come avviene molto spesso in ambientazioni di questo tipo, una compagnia ultracapitalista gestisce e controlla la vita di chiunque. Parliamo della All Water Corporation, che domina ogni aspetto dell’esistenza, dalle tasse agli spostamenti (tramite speciali tubi che permettono il trasporto degli abitanti da una zona all’altra della città).
Vorrei vivere in un film di Wes Anderson: i personaggi e la regia
Fin dal titolo della nostra recensione di Harold Halibut, abbiamo voluto citare una canzone di un gruppo assai caro a chi vi sta scrivendo, ovvero Wes Anderson de I Cani.
E perché citare proprio questa canzone, che a sua volta rimanda all’omonimo regista statunitense Wes Anderson?
Perché onestamente basta aver visto anche solo una o due opere di Anderson per ritrovare vari elementi del suo stile nel gioco di Slow Bros., in particolare se pensiamo a due film del regista.
Le due pellicole che ci sono immediatamente venute in mente sono le due che Wes Anderson ha realizzato con la tecnica della stop-motion, Fantastic Mr. Fox e L’Isola dei Cani.
Ma potremmo anche pensare all’insolito e subacqueo Le avventure acquatiche di Steve Zissou, viste le tematiche e il setting.
E però le somiglianze non si fermano certamente qua: anche la fotografia e la scelta dei colori di Slow Bros. per Harold Halibut ci ha ricordato in più momenti le scelte che troviamo nei film di Anderson, così come varie inquadrature.
Anderson è infatti noto per l’estrema simmetria che pone nel costruire le scene dei suoi film, e allo stesso modo nel gioco di oggi troviamo spesso il nostro protagonista al centro della scena, mentre attorno a lui le linee rette e le curve simmetriche delle ambientazioni si sviluppano in maniera equilibrata partendo dal suo campo visivo.
I personaggi: idiosincratici, più simpatici di me
Anche per quel che riguarda ciò che sono i personaggi (a partire dal protagonista) abbiamo dovuto citare Wes Anderson de I Cani: le vibe che ci hanno riportato a pensare alla produzione cinematografica del regista sono infatti parecchie.
Sin dal protagonista, l’Harold Halibut che dà il nome al titolo del videogame, abbiamo infatti un essere umano che non ci viene fatto passare per un eroe o per un buono e perfetto.
Harold è spesso pigro, disilluso e rassegnato. Fa del suo meglio per trovare un posto del mondo, per trovare un lavoro, per avere un’occupazione che lo soddisfi, per raggiungere l’amore.
E tuttavia, nel momento in cui ce lo prendiamo in carico a inizio gioco, ha decisamente avuto poca fortuna.
Un po’ come i personaggi di Grand Budapest Hotel o la famiglia de I Tenenbaum, anche Harold è prima di tutto umano. Bastano poche battute per renderlo vivo e per farci empatizzare con lui, dalle prime semplici task che deve compiere giornalmente, fino all’evento che potrebbe cambiare la vita sua e della colonia.
Fra l’altro, abbiamo pure notato una certa somiglianza fra il protagonista del gioco e uno degli attori feticcio di Anderson, ovvero Adrien Brody, ma questa magari è solo una coincidenza.
E i cattivi non sono cattivi davvero – Harold Halibut: tutto tenerezza e finali agrodolci
Come I Cani in due versi della loro canzone riassumono alla perfezione cosa sia il cinema di Anderson, così questi elementi li ritroviamo nel videogioco di Slow Bros. e in ciò che avviene a schermo.
Al di là del protagonista, infatti, anche il resto del cast del titolo si compone di tantissime figure sfaccettate e piene di spigoli e ombre e sfumature.
Che si tratti della scienziata/figura materna di cui il nostro Harold è assistente di laboratorio, che si tratti del tutore della legge o dei gemelli/fantocci della All Water Corp., fino ai vari negozianti e ai ragazzini che scorrazzano per Fedora I, nulla sembra essere stato lasciato al caso.
E fra l’altro, fra queste figure di contorno e comprimari vari, abbiamo ritrovato ulteriori stereotipi (scritto non in senso dispregiativo) che rivediamo in varie pellicole di Anderson, come se fossero personaggi interpretati da attori come Jeff Goldblum o Tony Revolori.
In tutto questo, tralasciamo un paio di occasioni di nomi di personaggi del gioco che ci hanno riportato a pellicole del regista (come il Chris Tinnerbaum che ha inevitabilmente richiamato I Tenenbaum). Ma forse siamo solo noi che ci vediamo troppi collegamenti.
In ogni caso, anche in Harold Halibut abbiamo un avvenimento, un personaggio, che arriva a sconvolgere la vita del protagonista e chissà, forse dell’intera comunità di Fedora I.
Come l’alieno di Asteroid City, abbiamo qui un alieno, una creatura misteriosa, che finisce per incontrare, con una sequenza poetica e quasi mistica, il buon Harold. Una sequenza questa che, al di là del cinema di Anderson, ci ha ricordato un’altra pellicola in cui il legame fra il subacqueo e il terreno si fa sottile, ovvero La forma dell’acqua.
Il videogioco copia il cinema?
A qualcuno allora potrebbe venire in mente, leggendo la nostra recensione di Harold Halibut, che dunque questo gioco (o il videogioco come medium) si dimostri una copia sbiadita del cinema, o che così voglia porsi.
Di sicuro non è il nostro pensiero.
Ciò che vogliamo esprimere è, tramite la parola scritta, cosa abbiamo provato e sentito mentre ci veniva mostrato il mondo subacqueo di Fedora I.
E il modo che abbiamo scelto è quello di riprendere alcune opere che mostrano sicuramente molte affinità con la creazione di Slow Bros., ma tutto si esaurisce qui.
Harold Halibut è perfettamente in grado di reggersi sulle proprie solidissime gambe, al netto del citazionismo o delle somiglianze che possiamo trovarvi con questa o quell’altra pellicola.
E se chi arriva a leggere fino qua non ha mai visto un film di Wes Anderson, tanto meglio: nella storia di Harold può trovare un videogioco magico (nel senso più poetico del termine), una storia di cui alle volte se ne ha tanto bisogno.
Una storia placida e tranquilla, che si prende i suoi tempi per narrare le vite di chi incontriamo.
Una storia placida e tranquilla – Forse troppo?
Come dicevamo, una trama pacata e calma, che però forse per qualcuno potrebbe esserlo troppo.
Non per chi scrive, ma per perseguire una qualche oggettività che spesso si richiede a chi recensisce, dobbiamo essere onesti e dirvi che, se vi aspettate il benché minimo guizzo d’azione in Harold Halibut, girate i tacchi e rivolgetevi a qualche altro titolo.
Perché il gioco di Slow Bros. (un po’ come già il loro nome indica) non disdegna rallentare e dirigere le inquadrature in maniera compassata, per farci godere di cut-scene e intermezzi spesso pregni di emozione e avvenimenti, ma certamente alle volte lunghi.
Il tutto per una trama molto lineare e senza chissà quali bivi, che però personalmente abbiamo apprezzato, seppur senza gridare al miracolo.
Un gameplay placido e tranquillo
Allo stesso modo della trama, anche il gameplay di Harold Halibut si prende i suoi tempi.
Lo fa nella lentezza del protagonista, lo fa nei dialoghi e negli spostamenti da una zona all’altra. Lo fa nel diario/menu da cui possiamo selezionare i messaggi di posta che riceviamo e da cui gestiamo le quest.
Missioni che, in molti casi, sono delle semplici fetch quest, dunque che ci vedono andare da un punto A a un punto B per recuperare un oggetto o parlare con un tale personaggio, per poi ricominciare il tour di Fedora I.
Insomma, forse qui abbiamo sì un difetto che per parte dell’utenza potrebbe creare qualche fastidio, seppur mitigato dal comparto visivo e sonoro del gioco.
Harold Halibut: la poesia su schermo – La stop-motion
Abbiamo parlato di quanto siano belle certe inquadrature del gioco, così come la scrittura dei personaggi e il setting.
A rendere il tutto ancora più magico ci pensa sicuramente la tecnica di realizzazione, che si basa ampiamente sulla già citata stop-motion e sulla realizzazione a mano di pressoché tutto quello che vediamo in game.
I fondali, i personaggi, tutto in Harold Halibut è creato e modellato a mano sfruttando principalmente plastica, metallo e legno.
Anche le animazioni sono state realizzate partendo dalla fotografia e dalla scansione di centinaia di foto per ogni singolo elemento necessario a comporre ciò che avviene a schermo.
Non per niente gli sforzi di Slow Bros. per consegnarci la loro opera sono durati più di 10 anni.
Rimane da capire, da un punto di vista meramente finanziario, quanto questo sforzo possa risultare ripagato dalle vendite del videogioco, che potete trovare anche su Game Pass.
Tuttavia il lato economico e di vendita dell’avventura di Harold ci interessa relativamente. Ciò che ci interessa è la possibilità di provare un titolo come (fortunatamente o sfortunatamente) non se ne vedono molti in giro.
Le canzoni e le voci di Harold Halibut
Se visivamente è una perla in ogni schermata, anche dal punto di vista audio Harold Halibut non delude assolutamente, anzi.
Che si tratti della colonna sonora, o ancor di più del doppiaggio eccelso, il gioco di Onat Hekimoglu sa come e quando colpire.
Non abbiamo pressoché trovato sbavature in alcun dettaglio del comparto audio del gioco.
Le voci sono ben dosate, così come i ritmi e le musiche, tutto è perfettamente orchestrato in base agli eventi e a ciò che avviene a schermo. Non è molto comune trovare un qualcosa del genere.
La traduzione in italiano del gioco
Al momento del lancio il gioco non ha alcuna traduzione in italiano, né in forma di sottotitoli, né tanto meno per quel che riguarda il doppiaggio.
E tuttavia, se siete fra coloro che desiderano provarlo ma hanno difficoltà con l’inglese, sappiate che lo stesso team di sviluppo ha recentemente dichiarato che arriverà una traduzione anche in italiano.
Harold Halibut recensione: Due parole finali
Insomma, possiamo confermare ciò che avevamo già visto e assaporato con la demo: Harold Halibut è un signor gioco, che ha tanto da dare a chi vuole provare ad addentrarsi fra i suoi paesaggi sottomarini e sotto le sue onde.
Seppur forse con qualche lentezza e incertezza, l’opera di Slow Bros. è comunque una piccola perla per tanti motivi, visivi e non.
Se avete occasione di giocarci, personalmente ci sentiamo di dire con sicurezza di non lasciarvela perdere.
Il comparto visivo
Le tecniche di realizzazione
Il retrofuturismo
I personaggi
Il comparto audio
Storia forse eccessivamente lineare
Gameplay forse lento per parte dell'utenza