La Milan Games Week 2023 è stata il luogo ideale in cui dare un’occhiata a tanti videogiochi in arrivo prossimamente, come l’atteso ritorno di Prince of Persia (di cui avete anche anche il nostro provato proprio dalla fiera milanese) e come Simon the Sorcerer Origins.
Anche per questo punta e clicca, prequel dell’omonima e longeva saga nata nel 1993, abbiamo realizzato un’analisi di quello che abbiamo visto finora, che (spoiler) ci ha lasciati decisamente e positivamente colpiti. Ma con Simon the Sorcerer Origins abbiamo voluto fare un passetto oltre.
Per questo ci siamo fermati un poco di più allo stand di Smallthing Studios (il team di sviluppo del gioco) e Leonardo Interactive (il publisher del titolo), per parlare con chi al videogame ci ha lavorato.
Le due persone che ci hanno introdotto al dietro le quinte di sviluppo e produzione sono state, in ordine strettamente di apparizione, Fabrizio Rizzo (lead game designer) e Giulia Valentini in veste di art director.
Con loro abbiamo potuto approfondire il processo creativo (e in parte produttivo) che sta dietro la creazione di un titolo come questo, ma anche alcune difficoltà che hanno potuto riscontrare nel lavorare al gameplay o alla parte visiva del gioco.
Indice
Alle origini del mito: l’idea di un prequel di Simon the Sorcerer
Fabrizio Rizzo, nella nostra chiacchierata, ci ha un po’ raccontato come tutto è nato.
“Io conoscevo la saga prima di metterci mano, Massimiliano Calamai (il nostro CEO) è un grandissimo fan della serie. Quindi è nato tutto da un passion project: noi sentivamo che volevamo farlo, sentivamo che avevamo le forze per farlo nel miglior modo possibile“.
“Appena venuta fuori la possibilità di lavorarci” prosegue il racconto, “ci siamo fiondati subito. [Massimiliano Calamai] mi ha contattato un bel giorno dicendomi ‘Ehi, senti, ma non è che ti andrebbe di fare il prequel di Simon the Sorcerer?’“.
Da lì il sì in risposta è arrivato immediato, per poi partire con concept, pitch, le prime idee su trama, comparto visivo e stile artistico, le meccaniche di gioco e quant’altro.
Sempre Fabrizio Rizzo prosegue il racconto delle prime fasi.
“Abbiamo presentato la nostra idea ai fratelli Woodroffe [le menti dietro la serie originale, n.d.a.], idea che non è stata campata per aria. […] Personalmente ho rigiocato ai capitoli originali, ho ripescato i manuali originali e li ho riletti – perché ai tempi […] tanto dell’esperienza, tanta narrativa era lasciata alla manualistica“.
“Tutte queste domande irrisolte [che nascevano da ciò che non veniva narrato in game e dai pochi preamboli nei manuali] ci hanno dato lo spazio e messo la voglia di creare una risposta. E quella risposta è Simon the Sorcerer Origins“.
Il momento giusto
“Ci piaceva l’idea di lavorare a questa saga” continua a spiegare il game designer, “eravamo appassionati da un lato, e da un altro lato sentivamo che era il momento giusto: sta un po’ venendo fuori quella voglia di tornare agli anni ’90, a quello stile, a quelle esperienze“.
“Recentemente abbiamo avuto il ritorno di Monkey Island, per dirne uno“.
E riguardo questo ritorno, Rizzo racconta un aneddoto divertente: “tra l’altro ci siamo messi a ridere perché, nello stesso periodo in cui volevamo annunciare Simon the Sorcerer Origins con un teaser, loro hanno annunciato l’ultimo Monkey Island (giusto una settimana prima) […]”.
E conclude con un sunto della situazione di partenza, dicendo “questa gamma di fattori – noi eravamo pronti, il titolo ci piaceva, c’è questo ritorno agli anni ’90, siamo appassionatissimi di titoli narrativi – ci ha fatto dire: dobbiamo farlo, avevamo proprio la necessità fisica di farlo. E quindi eccoci“.
L’evoluzione artistica in Simon the Sorcerer Origins
Per la parte artistica, l’art director Giulia Valentini ci ha fornito un riassunto assai completo del passato di Simon the Sorcerer e di come si è arrivati allo stile attuale.
“La saga non ha mai avuto uno stile grafico unificato: i primi due capitoli erano in pixel art, quelli in 3D sono tutti diversi. Noi ci siamo basati molto sul primo capitolo ma non aveva senso farlo in pixel art […]. La pixel art, quando uscì, non era pixel art per stile, era pixel art perché era l’unico modo possibile.”
E prosegue approfondendo il discorso, “Quindi adesso l’equivalente sarebbe stato farlo in iperrealismo, ma non avrebbe avuto senso“.
“Né sarebbe stato fattibile, considerando che avevamo fin da subito l’idea di farlo animato tradizionalmente, quindi animazione in 2D, frame by frame, giacché l’idea di farlo più simile a un film d’animazione è stata la prima cosa che abbiamo definito.
“Banalmente era più fattibile per gli animatori lavorare con personaggi più stilizzati rispetto a qualcosa di […] più complesso. Ma anche perché, per dare quell’atmosfera calda, colorata, un po’ fantasy, d’avventura, ci siamo ispirati ai film della Disney, alle serie TV della Disney e quant’altro“.
E a proposito di animatori e team che hanno lavorato al comparto visivo, per quanto ora il team si stia ingrandendo, in partenza il gruppo al lavoro sul titolo si componeva di “tre o quattro persone: la parte in 2D è stata fatta praticamente da una persona sola, gli animatori erano due. […] Il nostro game director ha anche dato diverse indicazioni su quella che doveva essere la visione finale del prodotto, con effettistica e altre cose del genere. Però, mani in pasta, tavoletta grafica, ecc., eravamo in tre“.
Contando la mole di lavoro dietro, per raggiungere il risultato finale che abbiamo potuto provare alla Games Week, l’esiguo numero di persone che hanno lavorato nel dietro le quinte rende il tutto ancor più interessante.
Le meccaniche di gioco di Simon the Sorcerer Origins: fra passato e presente
Ma dal passato videoludico (e di Simon the Sorcerer) arriviamo al presente, un presente in cui talvolta gli stili di gioco e le dinamiche di gameplay d’inizio anni ’90 possono risultare non propriamente apprezzabili da tutta l’utenza.
Scopo però di Smallthing Studios, come ci racconta Rizzo, è stato quello di “creare un’esperienza che possa soddisfare i palati un po’ più raffinati, […] che fanno parte di quella nicchia [di amanti dei punta e clicca, n.d.a.], ma da un altro lato creare una storia e ottimizzare la struttura ludica in modo che possa essere digeribile da una fetta di pubblico meno avvezza“.
Ciò è stato realizzato, nelle parole del lead game designer, con l’idea di non arrivare a “creare un’esperienza frustrante” per chi gioca: “so che è un punta e clicca, ma so che c’è qualche chicca in più, so che è un genere classico, ma so che potrò trovare qualcosa che mi permetta di avvicinarmi […]”.
Simon the Sorcerer Origins: gli scogli nello sviluppo
Questo barcamenarsi fra ciò che era vecchio e ciò che è nuovo, fra il passato e il presente, fra il vecchio e il nuovo pubblico, ha ovviamente portato il team di Smallthing Studios a porsi molte domande, nonché a problemi da risolvere nel miglior modo possibile, nel minor tempo possibile.
Riguardo queste tematiche, il lead game designer Rizzo ci racconta del lavoro fatto sull’ottimizzazione delle interazioni. Ci riferiamo per esempio al banale puntare con il cursore in un determinato punto della schermata e premere, cosicché il nostro personaggio si sposti in quel punto (di fatto anche l’origine del nome “punta e clicca“).
“Per questo, anche nel controllo tramite pad, abbiamo per esempio integrato un doppio sistema di comandi da poter scegliere. Il giocatore può avere un controllo diretto su Simon, facendolo muovere tramite gli analogici, oppure può preferire un approccio più classico“.
“Poi abbiamo dovuto […] togliere un po’ di barriere. Per esempio se volevamo raccogliere un oggetto dovevamo selezionare il verbo ‘raccogli’, cliccare sull’oggetto, raccoglierlo. Ora abbiamo un cursore che è sensibile all’azione che Simon può compiere con quell’oggetto“.
“Questa gamma di fattori di ottimizzazione ha reso possibile un’esperienza un po’ più ‘ergonomica’ diciamo“.
I fattori a cui fa riferimento Fabrizio Rizzo dunque vogliono contribuire, nelle intezioni dello studio di sviluppo, a facilitare la vita anche dei vecchi appassionati: “un sistema svecchiato, ma riconoscibile, […] consente di dedicarsi interamente alla narrativa e ai puzzle, senza doversi perdere in elementi più frustranti di natura prettamente tecnica“.
In merito alla frustrazione e alla creazione della parte “tecnica” e connessa al gameplay, Rizzo ha poi tenuto a elogiare il gruppo di lavoro: “c’è da fare un plauso enorme al nostro team di programmatori, capitanato da Stefano Campodall’Orto e dal nostro lead programmer Thomas Anthony Albanese. Sono riusciti a creare un engine veramente versatile, basato su Unity, che ci consente di operare in maniera veloce e immediata, e di avere una serie di kit di natura prettamente tecnica, custom, sulla base delle nostre necessità“.
I problemi dei punta e clicca
Se pensiamo ai videogiochi punta e clicca, spesso molte persone (un po’ per sfortuna nell’aver incontrato “il gioco sbagliato” sul proprio cammino, un po’ magari per una conoscenza più superficiale del genere) potrebbero avere delle remore ad avvicinarvisi.
Questo è legato anche ad alcune problematiche tipiche del genere: cosa posso fare, cosa devo fare con questi oggetti, dove devo andare ora?
“Fin dal principio, da lead designer [a parlare è appunto Fabrizio Rizzo], una cosa che ho voluto evitare il classico sistema a diario (tu clicchi e ti dice letteralmente cosa devi fare […]”.
“Abbiamo preferito, in termini di hint, aiutare il giocatore con elementi all’interno della narrativa. Ciò che ti dice un personaggio potrebbe essere un hint per risolvere un puzzle. Leggendo ed esaminando qualcosa potresti ottenere un altro hint che ti aiuta a risolvere il puzzle, senza esternalizzare la soluzione e imboccare il giocatore, ma dandogli gli strumenti che possano aiutarlo“.
“Sarebbe stato facile per noi mettere un diario con indicazioni come ‘guarda, fai questo, fai quest’altro’. Non ci piaceva, ci sembrava una soluzione molto cheap. Volevamo qualcosa di interno al gioco da un lato, ed esterno al gioco dall’altro lato, nell’ottica di dare al giocatore di confrontarsi, analizzare e ragionare con se stesso e con gli altri giocatori“.
Queste ultime parole, il lead game designer di Simon the Sorcerer Origins le spiega con il passo successivo, che vuole riprendere il passato videoludico (ormai come minimo di almeno un paio di decenni fa) di confronto con il gruppetto di amici che stanno giocando al nostro stesso gioco.
“Una cosa che mi manca tantissimo della mia infanzia come videogiocatore è quell’esperienza da parco giochi, mettiamola così. Quel finire la giornata e poi andare a chiacchierare con i tuoi amici e dire ‘io sono bloccato Tu come l’hai risolta? Io ho fatto così’. Questi elementi tendono a mancare“.
“È parte della bellezza stare lì, rimuginare un po’, sempre con una logica e sempre senza sfociare nella frustrazione, ma anche comunicare con gli altri, creare una piccola community“.
Un film d’animazione giocabile: le sfide
Come raccontava l’art director Giulia Valentini nel narrare quali siano state le fonti d’ispirazione visive per Simon the Sorcerer Origins, fin da subito queste sono stati i grandi classici dell’animazione Disney, ma anche prodotti più recenti come serie TV d’animazione.
In ogni caso, scopo di Smallthing Studios, sin dagli albori del progetto, è stato quello di consegnarci un prodotto che strizzasse l’occhio appunto a questo mondo. E certamente però, per uno studio in crescita, che si approccia a una IP di questo tipo, con questi scopi comunque grandiosi (contando proprio numericamente le migliaia di frame a cui ha dovuto dedicarsi il team di animazione), le sfide non sono mancate, come ci spiega Valentini.
Un grosso motivo d’ansia è stato “il design stesso di Simon, in quanto comunque sì, buoni propositi e tutto, però stai riproponendo, ridisegnando un personaggio storico in una chiave completamente diversa“.
Questo, come approfondiamo più in basso, ha ovviamente attirato sul progetto attenzioni non richieste da parte di “fan” (perdonateci il virgolettato) che hanno provato a sparare a zero sul progetto.
Altro elemento che ha portato all’aumento della mole di lavoro è stato “a livello di animazione, [il fatto che] i nostri animatori si sono veramente impegnati tantissimo per creare tutte le animazioni possibili che ci sono nel gioco. Il personaggio si muove in 8 direzioni e non in 4, quindi le camminate sono tante“.
“E poi ci sono le animazioni customizzate, ovvero le animazioni che si vedono solo una volta in gioco, specifiche per alcuni tipi di azioni e oggetti ecc., e ce ne sono tantissime. È stata davvero una sfida per i nostri animatori, però sono stati all’altezza del lavoro“.
I fan della saga: opportunità o problema?
Come già avevamo visto nel nostro provato dalla Milan Games Week 2023, Simon the Sorcerer Origins ha tutte le carte in regola per essere un videogioco qualitativamente ben al di sopra della media. Eppure, spulciando online (come per esempio fra i commenti di uno dei trailer disponibili su YouTube), fra chi si dice entusiasta all’idea del ritorno di Simon in questa veste, abbiamo però scovato un piccolissimo (fortunatamente) nugolo di utenti pronti a esprimere il proprio disappunto nei confronti dell’opera di Smallthing Studios.
Tutto ciò, chiaramente, senza neppure aver provato il gioco, senza aver la benché minima idea di quale sarà il risultato finale. Però queste persone e le loro opinioni esistono, per questo abbiamo voluto chiedere a Giulia Valentini e a Fabrizio Rizzo il loro pensiero anche a questo riguardo.
Ciò che è certo è l’orgoglio e la sicurezza riguardo il lavoro svolto.
“Siamo cresciuti molto, anche noi stessi, con lo sviluppo di Simon the Sorcerer Origins […]. Vogliamo creare l’esperienza migliore possibile, siamo sicuri del lavoro che abbiamo fatto e siamo certi che il nostro lavoro parlerà da sé” dice il lead game designer.
Gli fa eco Valentini, raccontando esplicitamente che “comunque lo avremmo fatto, saremmo stati criticati, per forza di cose” e per questo motivo “abbiamo deciso di buttarci e fare qualcosa di nuovo, fare qualcosa che potesse sia creare nostalgia nei confronti dei fan […], ma che potesse anche attrarre nuovi utenti“.
Ciò che è certa, citano questa vicenda entrambi i membri del team, è l’importanza del supporto al progetto dei fratelli Woodroffe.
“I fratelli Woodroffe sono rimasti entusiasti del nostro gioco, sia a livello di scrittura che di trama, dello stile visivo stesso […].” dice l’art director.
E altrettanto raggiante è stato Fabrizio Rizzo nel raccontarcelo: “[…] Mike Woodroffe, mi pare, che, leggendo quello che stavamo facendo, si è detto veramente soddisfatto. L’autore originale che va a dire una cosa del genere a noi, italiani, uno studio indipendente, è incredibile“.
Una breve conclusione
Giusto per scrivere due righe finali, vogliamo riportare alcune parole di Giulia Valentini al nostro chiederle un’opinione in merito al creare un titolo come Simon the Sorcerer Origins che, sulla carta, si dovrebbe rivolgere al pubblico della nicchia dei punta e clicca.
“Il genere punta e clicca è di nicchia per sua ragion d’esistere, però insomma, ce ne sono tanti al giorno d’oggi (uno lo abbiamo recentemente recensito su queste pagine). Ci sono tante persone che si stanno avvicinando adesso a questo genere. Un po’ per rallentare la macinazione di videogiochi estremamente lunghi, estremamente time consuming che c’è adesso“.
“Penso che ci sia molto più spazio in questo momento per giochi più piccoli, […] un po’ più tranquilli“.
Se pensate che Simon the Sorcerer Origins possa essere uno di questi giochi più piccoli e più tranquilli, vi ricordiamo che uscirà nel 2024 (la data precisa di rilascio dovrebbe arrivare molto presto). Lo si potrà giocare su tutte le piattaforme: Windows, Mac e Linux tramite Steam, così come console Microsoft e Sony, oltre che ovviamente anche Nintendo Switch. Fra l’altro, le edizioni console saranno pure in formato fisico.
Infine, Fabrizio Rizzo ci ha tenuto caldamente a dirci che prossimamente ci saranno diverse novità anche per la produzione in generale di Smallthing Studios, tra nuove IP e titoli in licenza.