La recensione di Dragon Age The Veilguard – Attraverso gli specchi

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Informazioni sul gioco

Anni di attesa, un decennio per la precisione, fin da quel 2014 in cui uscì il precedente capitolo della saga (ovvero Dragon Age Inquisition), ma finalmente fan e non fan della serie sviluppata da BioWare e pubblicata da Electronic Arts hanno potuto e possono provare con mano Dragon Age The Veilguard.

L’espressione provare con mano non è casuale, visto che il gioco è stato fin troppo spesso criticato ancor prima di provarlo, in molti casi senza alcuna cognizione di causa ma basandosi soltanto su supposizioni e idee di quel che sarebbe stato effettivamente il gioco.

Alla fine, però, almeno la stampa specializzata sembra aver assai apprezzato il fantasy RPG di BioWare. E oggi è la volta di dire anche la nostra al riguardo, con la nostra personalissima recensione di Dragon Age The Veilguard.

La storia e le storie di The Veilguard: dov’eravamo rimasti?

Com’era stato anche per i capitoli precedenti dell’epopea di BioWare, pure stavolta si comincia in medias res: Rook (il nostro alter ego) si ritrova con il nano Varric, veterano della serie, sulle tracce di Solas, companion ma anche villain di Inquisition, con lo scopo di fermarlo.

A dar loro man forte troviamo la maga Neve Gallus e l’avventuriera nanica Lace Harding, anche lei di ritorno dal precedente capitolo.
Ma quanto tempo è passato da Inquisition? E perché deve essere fermato?

Siamo 10 anni dopo Inquisition e Solas è quello di sempre, ovvero un potentissimo elfo mago asceso al rango di dio elfico dell’inganno e dell’astuzia.
Dopo che nell’antico passato aveva portato avanti una ribellione contro le malefiche divinità Elgar’nan e Ghilan’nain.

La ribellione aveva avuto successo e le due entità erano state confinate oltre il Velo, in quella sorta di aldilà di Dragon Age chiamato Oblio.
Peccato che Solas si fosse poi pentito della scelta, così da tornare sui propri passi per distruggere il Velo (che aveva avuto il piccolo effetto collaterale di togliere potere e poteri alla stirpe elfica) e trovare una nuova prigione a Elgar’nan e Ghilan’nain.

Come già visto in Inquisition, ciò non è molto fattibile senza riempire l’intero Thedas (il continente in cui si svolge Dragon Age The Veilguard) di demoni, spiriti e mostri.

Per questo nell’intro del gioco ci prodighiamo per fermare i piani scellerati di Solas, e ci riusciamo pure. Ma c’è un ma: Solas finisce nella sua stessa prigione, da cui può contattarci grazie a un potente legame telepatico, e però nel frattempo le due divinità elfiche riescono a fuggire.

Per evitare che queste riescano a diffondere la loro corruzione, il loro culto e il loro potere su tutto il Thedas, dobbiamo così mettere su una squadra, intessere relazioni, cercare alleanze ed eserciti che ci aiutino nella difesa della realtà.

Tutto questo partendo dal Faro, vecchia base di Solas situata nell’Oblio. Da qui, possiamo spostarci ovunque nel Thedas grazie agli Eluvian: questi sono degli specchi magici che connettono più punti sparsi nel continente, così da dare senso e lore anche al concetto di viaggio rapido.

In questo modo possiamo muoverci in un baleno dalle foreste alle coste, dalla città di Treviso nel paese di Antiva a Minrathous nel Tevinter, fino a Orlais o alla regione di Nevarra.

Insomma, anche con Dragon Age The Veilguard BioWare ha creato una trama corposa e densa di eventi e scelte da compiere ma, come vediamo già da questa sinossi che vi abbiamo riportato, è pur sempre una storia assai archetipica e che sa di già visto in molte sue parti, sia per quel che riguarda la narrativa fantasy in generale, sia anche in base a quanto già vissuto nei precedenti episodi della serie.

E tuttavia, fortunatamente la storia non è certamente l’unica freccia che il titolo ha nella sua faretra.

I personaggi e le persone

Se c’è qualcosa in cui Dragon Age The Veilguard il meglio di sé è sicuramente la scrittura e l’approfondimento dei personaggi.
Questo in linea è vero, sia che si tratti di figure secondarie che incontriamo fra una missione e l’altra, ma è ancor più vero quando si tratta di uno dei sette personaggi che in game abbiamo come companion.

Spesso in poche parole o con giusto qualche gesto (un sorriso, un companion che decide di fare qualche regalo al resto del party, una mano sulla spalla) il gioco riesce a darci quel qualcosa in più riguardo la caratterizzazione di chi ci accompagna.

Dall’austero ed educato necromante Emmrich a Lucanis che convive con un’antica maledizione, fino alla loquace elfa ingegnera Bellara, non mancano scene in cui riusciamo con poco a empatizzare con chi ci accompagna.

Stessa cosa vale per i moltissimi NPC che costellano il Thedas, fra cui abbiamo anche molti ritorni dai giochi precedenti. Oltre al già citato Varric, potremmo ritrovare la strega Morrigan e la piratessa Isabela.

Un po’ più generici e superficiali sono invece, purtroppo, i due villain Elgar’nan e Ghilan’nain. Sebbene infatti se ne apprezzi facilmente l’aspetto e la resa visiva, risultano un po’ vuoti, soprattutto se rapportati alle figure che li circondano.

Fortunatamente abbiamo Solas, le cui scene e i cui dialoghi sono fra le parti migliori a livello di trama e di sceneggiatura, che (come dicevamo sopra) in generale non sempre brillano.

Il nostro io: la creazione di Rook in Dragon Age The Veilguard

E poi c’è Rook, ciò che siamo noi nel Thedas, il nostro alter ego, l’avatar che ci accompagna per le molte ore all’interno dell’opera di BioWare.

Con The Veilguard siamo di fronte a uno degli editor più vasti e soddisfacenti con cui abbiamo mai avuto a che fare, con tantissime personalizzazioni a livello corporeo e non soltanto.
Banalmente, visto l’universo di riferimento, possiamo scegliere in primis la stirpe di appartenenza, fra umani, elfi, nani e qunari, così come la classe di combattimento fra le tre canoniche della serie di Dragon Age: guerriero, mago oppure ladro.

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Dopodiché abbiamo tutto quel che riguarda l’aspetto fisico: altezza, corporatura, i dettagli del volto, acconciature, ecc.
Ovviamente non è completo al 100%, per esempio abbiamo riscontrato la mancanza di peli sul corpo, così come il non poter aggiungere orecchini o piercing. Ma, detto, questo, rimane un lavoro a dir poco egregio.

Assieme a tutto questo, c’è poi la creazione del personaggio a livello di storia personale e identità.
Da un lato abbiamo infatti la possibilità di scegliere fra genere maschile, femminile e pure identità non-binary, una delle questioni che hanno scatenato gli animi di certe frange reazionarie del mondo internettiano, tematica su cui torneremo più avanti.

Dall’altro lato poi possiamo scegliere il gruppo, la fazione di origine, come i Corvi di Antiva o i Draghi Ombra di Minrathous (giusto per citarne un paio), scelta quest’ultima che avrà non poche ripercussioni nei dialoghi e nella trama.

Infine, ci teniamo a far notare che, assieme a Rook, il gioco ci permette di creare pure l’Inquisitore/Inquisitrice protagonista di Dragon Age Inquisition, che ritorna qui in veste di NPC, assieme allo scegliere com’erano andate le cose al termine proprio del videogame precedente.

Dragon Age The Veilguard: gameplay che vince non si cambia, ma…

Le nostre scelte

In quanto gioco di ruolo, per forza di cose questo titolo vuole dare alle scelte grande importanza. Che si tratti di rispondere sarcasticamente al perfido Solas, oppure fare le condoglianze a un PG che ha appena subito un lutto, i nostri atti potrebbero essere apprezzati o meno, così come potrebbero essere ricordati e tornarci addosso come un boomerang più avanti nella nostra storia.

Ciò è vero già per quello che scegliamo all’interno dei dialoghi, figuriamoci se dobbiamo scegliere di chi andare in soccorso, oppure se buttarci nel pericolo per salvare questa o quell’altra città.

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Dopodiché, come già succedeva nei precedenti giochi di BioWare, ci sono tutte le missioni secondarie a cui stare dietro, in particolar modo quelle dei companion, tutte che potrebbero sbloccare o meno ulteriori eventi con ripercussioni sulla trama principale.

Insomma niente di nuovo, così come non è cosa nuova il fatto che non possiamo fare una run malvagia.
Mentre stavamo giocando, ci è capitato di leggere la lamentela di qualcuno nell’etere social, lamentela che appunto consisteva nel fatto che in Dragon Age The Veilguard non sia possibile creare un personaggio cattivo.

No, non si può, così come non si poteva in qualunque altro capitolo precedente della serie e non soltanto, ma anche in altre opere di BioWare (basti pensare all’altra saga di punta dello studio, Mass Effect, pronta a espandersi pure con una serie televisiva).
Si possono prendere talvolta scelte controverse o dubbie, o perfino meschine, ma di base Dragon Age è una storia di eroismo, salvezza e speranza.

Combattimento e progressione: il più classico dei classici

Pure per quel che riguarda il gameplay vero e proprio, vale ciò che abbiamo detto poco sopra e anche nei titoli precedenti: non abbiamo chissà quale innovazione in questo ultimo capitolo, ma ciò non significa che sia tutto perduto. Ma andiamo con ordine.

Abbiamo il classico combat system di un action RPG con scontri rapidi alternati però alla possibilità, come fu nei giochi passati, di rallentare o addirittura bloccare il tempo, così da sfruttare abilità e poteri speciali nostri o del resto del party.

A questo si aggiunge la possibilità di attacchi in combo fra tutti i membri del gruppo, tra i companion oppure appunto fra il nostro avatar e il resto del team.

Per il resto potremmo parlare a lungo di combattimenti ed esplorazione e quant’altro, ma riteniamo che sarebbe addirittura superfluo.

Ci sono nuove armi da sbloccare e potenziare, così come armature, amuleti ecc., assieme a personalizzazioni e crafting, fino ai parry per respingere gli attacchi nemici.
Nel muoverci nel mondo di gioco abbiamo poi sempre simil-puzzle ambientali e il dover utilizzare le abilità dei companion per sollevare ponti o spostare rocce e altre modalità simili.

E davvero, senza dovervelo spiegare, sicuramente lo state immaginando come lo si trova effettivamente in game.

La stessa cosa è valida per i vastissimi alberi delle abilità e per l’interfaccia di gioco, tra poteri e specialità nostri e del resto del party, assieme a ulteriori bonus passivi.
Per quanto da principio sia necessario un minimo di addestramento per masterarli, divengono poi parecchio chiari e, appunto, già visti.

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Qualche timido cambiamento

Ciò che però abbiamo apprezzato è il cambiamento nella gestione del party: intanto non abbiamo più quattro membri, ma il numero scende a tre personaggi (il nostro alter ego più due companion), il che è ottimo per snellire i combattimenti e la gestione delle azioni del team.

Allo stesso tempo in Dragon Age The Veilguard non controlliamo più direttamente i companion, ma ne attiviamo solo i colpi speciali.
Come conseguenza tutto è più concentrato su di noi, come l’azione e come la maggior parte degli attacchi nemici.

Tutto questo, dal nostro punto di vista, non può che essere apprezzabile per dare maggiore continuità fra gameplay e trama incentrata sulla nostra storia.

Dragon Age The Veilguard: grafica e design – Un mondo brillante

Da quelle che erano le premesse, ammettiamo che non ci aspettavamo che avremmo trovato una grafica che ci avrebbe soddisfatto come invece è successo. Evidentemente, per fortuna questi lunghi anni di gestazione sono serviti a consegnarci un livello visivo sufficientemente apprezzabile, quando non davvero bello.
Lo si nota in particolare da alcuni dettagli, come il fogliame e i capelli.

A rendere ulteriormente migliore il lavoro di BioWare ci pensa sicuramente il design dei personaggi e lo stile visivo. Con Dragon Age The Veilguard sembra che infatti si sia spinto ulteriormente nella direzione dell’abbandono del realismo grafico in funzione di una resa maggiormente cartoonesca, in particolare nelle forme e nei corpi.

Meno realismo, come quello perseguito in tante serie videoludiche fantasy (da The Witcher a The Elder Scrolls, fino a Baldur’s Gate), per sposare invece la causa dello stile personale e riconoscibile.

Può non piacere? Ovviamente, è una cosa più che legittima, ma perlomeno abbiamo un gioco che possiamo riconoscere da pochi sguardi e già solo da un volto.

Al riguardo dei personaggi, peccato solo per questa specie di restyling della stirpe dei qunari, che qui sono meno simili a caproni, avvicinandosi a una sorta di thiefling di Baldur’s Gate 3, umani con le corna e poco più.

Più in generale, invece, se vogliamo cercare il pelo nell’uovo, in The Veilguard abbiamo la classica patina fantasy che troviamo in diversi prodotti di questo genere narrativo.

Per dare l’idea, basti ripensare al bloom prepotente che c’era in The Elder Scrolls IV: Oblivion, ma che troviamo anche in The Elder Scrolls Online, così come in alcune scene della trilogia cinematografica originale de Il Signore degli Anelli.

Le prestazioni del gioco

Altro elemento per noi di elogio per quanto fatto da BioWare è sicuramente la resistenza grafica del titolo. Ci riferiamo appunto alle prestazioni.

Infatti ci abbiamo giocato su Xbox Series S abbiamo selezionato la modalità visiva, dunque quella che predilige l’aspetto grafico a scapito del numero di frame al secondo. E, nonostante tutto questo, non abbiamo riscontrato alcun bug di sorta o calo di frame notabile o invalidante.

Le musiche e le voci

Così come il titolo ci ha colpito dal punto di vista visivo, allo stesso modo è stato un piacere ascoltare la colonna sonora, che fra le varie cose ha visto la collaborazione del veterano del cinema Hans Zimmer con Lorne Balfe.

Il primo è uno dei compositori principali del panorama di Hollywood degli ultimi decenni (avendo lavorato con Christopher Nolan e a fenomeni cinematografici come Il Re Leone e le pellicole di Dune).

Allo stesso modo, pure Balfe ha un curriculum di tutto rispetto, sia al cinema sia nel mondo videoludico, per il quale ha lavorato anche alla saga di Assassin’s Creed.

Di livello altrettanto apprezzabile è il doppiaggio. E sì, purtroppo non è presente la lingua italiana per il doppiaggio, ma rimane comunque nei menu e nei sottotitoli, di cui parliamo a breve con l’ultimo elemento della nostra recensione di Dragon Age The Veilguard.

The Wokeguard: la sterilità delle critiche in un mondo fantasy

Se c’è un elemento per cui abbiamo avuto levate di scudi, barricate sui social, tempeste di recensioni negative da masse inacidite dalla presenza di questo o quel personaggio, beh, questo elemento è la vicinanza di Dragon Age The Veilguard alle istanze della comunità LGBTQIA+, che si tratti della possibilità di intraprendere una relazione omosessuale in game oppure per tutto ciò che riguarda l’identità di genere del nostro avatar.

Pensando alla tematica e a come viene affrontata all’interno del titolo, così come se pensiamo alla storia videoludica di BioWare, ovviamente queste critiche lasciano in gran parte il tempo che trovano.

Al riguardo ci teniamo a dire che, basandoci unicamente sul numero di personaggi queer nel videogame (ed escludendo il nostro alter ego, che possiamo creare come preferiamo), questi rientrano in numeri che seguono le statistiche della potenziale presenza di identità LGBTQIA+ nella popolazione.
E anzi, verrebbe da dire che, come vi avevamo riportato, potrebbe esserci pure una sotto-rappresentazione.

In ogni caso, che si abbiano o meno abbastanza personaggi LGBT+, il titolo comunque ci propone diverse figure della comunità queer, figure che però non sembrano nel modo più assoluto artefatte o vuote, magari messe lì solo come token arcobaleno, ma tridimensionali e sfaccettate, nella maggior parte dei casi senza che vi sia uno sbandieramento del loro orientamento o identità.

E c’è poi Rook, il nostro alter ego.

La nostra identità

Nel titolo, sia in fase di creazione del personaggio sia nel corso dell’avventura, possiamo scegliere d’interpretare un personaggio transgender. Che si tratti di un uomo trans, una donna trans oppure una persona non-binary, The Veilguard non ci pone limiti di sorta.

Tra l’altro, durante il character creation, possiamo lasciare sul nostro alter ego anche le cicatrici di asportazione del tessuto mammario, operazione chirurgica che viene eseguita nei percorsi di riaffermazione di genere.

Ma, appunto, tutto questo è opzionale (e anzi il gioco ci tiene a ricordarcelo, cosicché possiamo evitarlo, se non abbiamo interesse al riguardo). E se volessimo fare il classico uomo bianco cis etero guerriero? Beh, ovviamente possiamo farlo.

È come quando si tratta di diritti (seppur in ambito decisamente differente): i diritti per le minoranze o per chi non li ha avuti finora non inficiano le nostre libertà. Allo stesso modo, in Dragon Age The Veilguard ci sono molte più possibilità per chi le desidera, senza però togliere nulla a chi già aveva.

Il legame con il passato di BioWare

Come già accennavamo, in tutto questo, BioWare ha solo seguito, ampliato forse, lo stile e le scelte che ha sempre compiuto.
Figure non eterosessuali le abbiamo sempre trovate nella serie, e pure Maevaris arriva dal passato di Dragon Age (e non era comunque l’unico personaggio transgender ad aver fatto la sua comparsa).

BioWare è sempre stata questo. Davvero ci scandalizziamo o proviamo stupore per le scelte di trama e di character design che troviamo in The Veilguard?
Chi si scandalizza, come minimo riteniamo che possa avere la memoria parecchio corta.

Schwa e asterischi: la questione dell’adattamento di Dragon Age The Veilguard

Dicevamo, parlando del doppiaggio, che l’opera di BioWare non ha l’italiano, ma ha invece sottotitoli e menu nella nostra lingua.

Ecco, pensando alle questioni di identità di genere e simili, possiamo immaginare che sia stato necessario uno sforzo titanico su ciò che si è preferito scegliere per rispecchiare generi non conformi e per dare senso ai dialoghi in cui sono coinvolti.

Le informazioni al riguardo di chi ha lavorato alla traduzione e alla localizzazione sono abbastanza frammentarie, ma le si trova nei titoli di coda (non com’è spesso per altri giochi, come nel caso di Pentiment).
Ad essersi occupata dell’impresa è stato Synthesis, da alcuni anni parte del colosso internazionale Keywords Studios.

Prima di mettere le mani sul gioco, ci chiedevamo quale sarebbe stata la gestione delle questioni di genere.

Qualche tempo fa avevamo dedicato un approfondimento a questa questione, in particolare per quel che riguarda l’uso dello schwa (la famosa Ə, la “e rovesciata“). Questa viene infatti sfruttata spesso in sostituzione di -a oppure -o, al termine di parole connotate dal femminile o dal maschile, per riferirci a persone non-binary o che comunque non rientrano nella più comune suddivisione dei generi.

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Vi avevamo riportato diversi videogame nei quali si era deciso di sfruttare lo schwa proprio per queste dinamiche e necessità (da indie poco conosciuti al ben più recente e famoso Baldur’s Gate 3).

Ecco, il team che ha localizzato The Veilguard ha optato per la stessa soluzione.
Pertanto, nel caso in cui creiamo un personaggio di genere non binario, non si parlerà più di guerriero né di guerriera, ma di guerrierƏ (così come ladrƏ e magƏ). Allo stesso modo, quando NPC e companion si rivolgono a noi, utilizzano la stessa cura.

C’è da dire che, che si apprezzi o meno la soluzione stabilità dal gruppo di lavoro, è stato fatto un lavoro egregio nel tradurre e localizzare correttamente ogni stringa di dialogo, non solo per genere maschile e femminile, ma anche appunto per avatar non-binary. Una precisione con ben poche sbavature, anzi, come difficilmente ne abbiamo trovato in questo contesto.

Fra l’altro, piccola nota aggiuntiva: non si è optato soltanto per la scelta dello schwa, ma talvolta (di rado e in situazioni specifiche) abbiamo trovato l’apostrofo sostituito da un asterisco. Se prendiamo per esempio un’espressione come “un altro/un’altra“, quando è riferito a una persona non-binary abbiamo invece “un*altrƏ“.

Non mancheremo di approfondire in modo più accurato in un prossimo speciale l’intera questione.

Recensione di Dragon Age The Veilguard: due parole finali

Come sempre, eccoci alle conclusioni della recensione, alle riflessioni finali, al riassunto di tutto quel che è il nostro giudizio su Dragon Age The Veilguard.

Sicuramente, e purtroppo, non siamo di fronte a un capolavoro. Alcuni difetti in fase di scrittura e un certo seguire un po’ troppo da vicino gli stereotipi del genere fantasy ne rendono infatti la narrativa un po’ più spenta, così come prevedibile in alcune svolte di trama.

Allo stesso modo, il gameplay funziona ma è molto ancorato al passato. Certo, legittimo che, se già funzionava all’epoca, sia stato mantenuto lo stesso impianto, ma purtroppo non ha guizzi o specificità che lo fanno apprezzare sopra ogni cosa.

Per il resto, però, abbiamo anche una serie di pregi trasversali a tutto il titolo: il design e la grafica assieme al comparto tecnico che funziona (e parecchio bene), la scrittura di companion e NPC, le migliorie nella gestione di combattimenti e abilità.

Insomma, come dimostrano anche tante riflessioni e interventi online di questi primi giorni dal rilascio dell’opera, questo nuovo capitolo è parecchio divisivo, soprattutto fra i fan della serie.
Ma a nostro avviso, seppur distante dalla perfezione, rimane comunque un titolo godibile e apprezzabile.

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Amazing
77100
Pros

Le atmosfere fantasy e la lore

Il design, la resa visiva e la componente grafica

La caratterizzazione dei personaggi

Le possibilità di creazione e personalizzazione dell'avatar

Cons

Trama senza veri e propri colpi di scena inaspettati

Gameplay svecchiato e innovato, ma spesso un po' "classico" e prevedibile

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