Videogiochi e gamer LGBTQIA+: oltre il Pride Month – Il report 2024 di GLAAD

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Quando pensiamo alla comunità LGBTQIA+, decisamente molte persone pensano quasi esclusivamente al Pride Month (il mese del Pride, giugno), eppure la rappresentanza dell’intera comunità queer esiste ben oltre quest’unico mese, anche nel mondo dei videogiochi.

Abbiamo deciso di sfruttare positivamente  la visibilità che alla comunità viene data durante questo periodo, che (lo ricordiamo) non è solo una generica festa, ma va a ricordare i moti di Stonewall del 1969, che al termine del giugno di quell’anno videro dei violenti scontri tra la comunità di New York e la polizia cittadina.

E, dato che qui ci occupiamo di gaming, vogliamo tornare su di un report di qualche tempo fa, un report che fotografa la situazione per il 2024 delle persone LGBT+ all’interno della galassia del gaming, nelle sue molte sfaccettature.

Questo studio è stato realizzato da Nielsen per conto di GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation), organizzazione no-profit specializzata appunto negli studi su questa comunità e nel suo avanzamento in vari media, fra cui appunto il gaming.
Il campione è stato di 1452, che nel corso dell’estate 2023 ha risposto alle molte domande del sondaggio dello studio. Per quel che riguarda invece l’origine delle persone del report, queste provengono tutte dagli Stati Uniti d’America.

E abbiamo scelto di provare a riportare i dati dello studio di GLAAD, inserendo questo articolo nel filone che abbiamo iniziato ormai tempo fa.
Infatti, in passato abbiamo già avuto modo di occuparci della rappresentazione del poliamore nei videogiochi, così come dell’uso dello schwa nella localizzazione italiana dei videogame.

Ma ora vediamo cosa possiamo leggere nel report.

Quante persone LGBTQIA+ giocano ai videogiochi?

La prima indicazione che ci dà GLAAD è relativa a quanto sia numerosa l’utenza videoludica che si interseca anche con la comunità LGBTQIA+. In percentuale, questo dato è al 17%, quindi quasi una persona su cinque, analizzando la fascia d’età fra 13 e 55 anni.

Il dato, già di per sé rilevante, lo diventa ancor di più se si confronta con un dato del 2020 (uno studio di Nielsen), che dimostra come negli ultimi anni tale percentuale sia aumentata del 70%. Potremmo interrogarci sul perché di tale sproporzionato aumento (se legato a una maggiore consapevolezza, o magari a una vergogna o paura minore a dichiararsi parte della comunità GBT+), ma purtroppo non abbiamo dati sufficienti in merito.

In aggiunta al dato del 17%, sappiamo anche (da uno studio di Gallup del 2023), che in fasce d’età mediamente più giovani, fra 18 e 35 anni, la percentuale appena riportata è pure maggiore, tra 23 e 28%.

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Gamer LGBTQIA+: quanto e come giocano?

Pensando al tempo passato a videogiocare, gamer LGBTQIA+ sono addirittura il 19% dell’utenza hardcore (che nella definizione di GLAAD indica chi gioca più di 10 ore alla settimana su PC o console).

E parlando ancora di ore passate in game, nel gruppo che gioca 4 o più ore abbiamo il 69% di giocatrici e giocatori LGBTQIA+ (rispetto al 64% delle persone non della comunità).

Se invece vogliamo concentrarci sulle modalità preferite di gioco, scopriamo che le persone LGBTQIA+ giocano di più su dispositivi mobili rispetto all’utenza non queer. Abbiamo infatti un 39% su Nintendo Switch (rispetto a un 32%).
Quest’ultimo dato è interessantissimo, comparato al fatto che lo store di Nintendo Switch è la piattaforma in cui si trovano meno storie legate alla comunità queer.

A cosa giocano giocatrici e giocatori LGBTQIA+?

Una divisione abbastanza marcata l’abbiamo sulle tipologie di giochi scelti quando accendiamo i nostri dispositivi. Infatti, se da un lato gli utenti non LGBTQIA+ prediligono (in percentuale) i titoli multigiocatore competitivi, così non è per le persone LGBT+.

Queste ultime infatti si dirigono maggiormente verso videogame single-player e multiplayer cooperativi.

Allo stesso modo, per quel che concerne i generi videoludici, giocatrici e giocatori LGBTQIA+ preferiscono open-world, sim di vario tipo, giochi di ruolo, puzzle game e titoli horror. Questo in contrasto con l’altra fetta di pubblico (con gli sparatutto).

Entrambi i gruppi, infine, convergono in fatto di gusti quando si tratta di action RPG, giochi d’avventura, battle royale e titoli di lotta.

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Giocatrici e giocatori LGBTQIA+: quanto spendono nel settore gaming?

Per quel che riguarda invece la spesa mensile delle persone queer nel settore videoludico, dalla seguente infografica notiamo immediatamente come questa sia perfettamente in linea con chi non fa parte della comunità LGBTQIA+.

Con uno scarto del 2% in più o in meno, che si tratti di spese di basso livello o più sostanziose, queste appunto seguono la stessa curva.

Inclusività e videogiochi: le rappresentazioni LGBQIA+

Un elemento centrale delle rappresentazioni queer all’interno dei videogiochi è quante queste siano e come siano realizzate (troppo vicine a stereotipi retrogradi e perfino offensivi, oppure giustamente distanti e variegate).

E però c’è da tenere in conto anche le volontà, le aspettative e le speranze della stessa comunità queer, ma non solo la loro.

L’importanza della rappresentazione di giocatrici e giocatori LGBTQIA+ (e non)

Intanto, in primis dobbiamo parlare di quanto sia o meno importante, per chi sia gamer LGBTQIA+, vedere in game una rappresentazione del proprio orientamento sessuale o identità di genere.

Ecco, stando al report di GLAAD, il 72% dell’utenza queer trova soddisfazione e compiacimento quando questo avviene. Una percentuale, questa, che aumenta fino al 78% per la fascia d’età più giovane del campione (13-17 anni).

Addirittura, il 53% delle persone della comunità decide se comprare un gioco o giocarci in base alla possibilità o meno di utilizzare un avatar che rispecchi il loro genere.

Le speranze e le aspettative riguardo le rappresentazioni

Riguardo invece le rappresentazioni in game di personaggi che non siano cisessuali ed eterosessuali, il 68% di giocatrici e giocatori LGBT+ vorrebbero che nei videogiochi ci fossero più storie di rilievo con personaggi queer.

In parte sconfortante, seppur non del tutto inaspettato, è la percentuale di persone non LGBT+ che vorrebbero la stessa cosa. In questo caso la percentuale cala vertiginosamente al 21%.
E tuttavia, questo desiderio è particolarmente diffuso fra i più giovani e chi spende di più in videogame.

La forbice di distanza percentuale fra i due gruppi si restringe invece quando si tratta di rappresentazioni errate o stereotipate di personaggi queer.
In questo caso, il 70% di gamer LGBTQIA+ e il 46% dell’utenza non queer sono meno disponibili ad avvicinarsi a videogame in cui compaiono cliché negativi o dannosi.

I personaggi LGBTQIA+ come main character: le criticità e le note positive

Riportando diversi studi precedenti, il team di GLAAD ci tiene a farci notare come, fra i videogiochi pubblicati fra 1985 e 2005, ci sono meno del 30% di personaggi giocabili appartenenti alla comunità LGBT+. Ovviamente si tratta di dati con diversi anni sulle spalle (alla fine, fra oggi e l’ultimo anno preso in esame passa addirittura un ventennio).

Però, approfondendo ulteriormente, abbiamo anche dati più recenti. Di tutte le opere videoludiche rilasciate fra 1985 e 2020, nella vastissima maggioranza abbiamo per protagonisti personaggi cisessuali ed etero.

E, qualora ci fossero alter ego LGBT+, questi sono per la maggior parte uomini bianchi cisgender.
Parafrasando GLAAD, in un medium che vorrebbe permettere a chiunque di essere qualunque cosa si desideri, avremmo immaginato decisamente un approccio più aperto.

E questa poca o settoriale rappresentazione potrebbe essere legata (sempre come teorizzano in GLAAD, ma trovandoci d’accordo) ad alcuni pregiudizi interni a publisher e studi di sviluppo. Questi pregiudizi vedrebbero l’utenza principale dei videogiochi come restia ad aprirsi a tali personaggi.

A ciò potremmo aggiungere che forse è anche per tale motivo che all’interno dei videogame troviamo ancora oggi diversi stereotipi, oppure figure che possono essere sessualizzate (banalmente, forse, anche il maggior numero di donne transgender rispetto al numero di uomini transgender).

Come che sia, i dati portati da GLAAD mostrano invece un sentire sensibilmente differente.

A prescindere che l’eventuale protagonista di un videogame non rientri nel cosiddetto binarismo di genere (dunque che sia per esempio uomo transgender, persona non-binary, ecc.) e a prescindere dal suo orientamento sessuale (dunque omosessuale, pansessuale, asessuale, ecc.), questo non sarebbe un problema per la maggior parte delle persone non LGBT+.

Stando al report, infatti, più del 60% di gamer al di fuori della comunità rivela che per loro non sarebbe una discriminante o meno nell’avvicinarsi a un gioco.

Andando ancora più a fondo, abbiamo addirittura un 8% di utenti non LGBTQIA+ che acquisterebbero o giocherebbero più volentieri a un titolo con protagonista omosessuale o transgender. Una percentuale che finisce pure per aumentare nel caso di protagonista lesbica o bisessuale: qui potremmo tornare a pensare a una ben poco lusinghiera sessualizzazione di certe figure, ma sono ovviamente sono solo nostre supposizioni.

Inoltre, come già intuito da diversi dati riportati finora, la fascia d’età più disponibile alla novità e a questi personaggi è quella più giovane. Fra questi, un’ulteriore segmento più disposto ad apprezzare tali storie e avatar è quella delle persone non bianche o caucasiche.

Infine, chiaramente, per quanto questi dati possano risultare confortanti, rimane il fatto che la comunità LGBT+ è 5 volte più volte disposta ad acquistare giochi con alter ego che facciano a loro volta parte della comunità.

Ai lati della storia: rappresentazioni LGBT+ come personaggi secondari

Come possiamo intuire, anche senza portare esempi specifici, i personaggi LGBT+ hanno fatto il loro ingresso nel medium videoludico (ma in generale in tantissimi media) in punta di piedi, magari all’inizio solo e soltanto come figure sullo sfondo, o al massimo come comprimari o potenziali interessi romantici omosessuali del nostro avatar.

Vediamo come la presenza o meno di personaggi secondari LGBTQIA+ ci aiuta ad analizzare la situazione delle tematiche queer nel mondo del gaming.

Riprendiamo il nostro gruppo di gamer non LGBT+: quasi il 70% dice che per loro non farebbe alcuna differenza (sempre nell’avvicinarsi a un gioco) l’impersonare o l’avere a che fare con un personaggio della comunità queer.
Notiamo che invece, per le persone LGBTQIA+, abbiamo il 36% per le quali non farebbe differenza, ma un 63% per le quali sarebbe un incentivo al giocare.

Videogiochi e raffigurazioni transgender: alcune differenze

Dai dati riportati da GLAAD, possiamo notare alcune discrepanze rispetto ai dati generali. Queste discrepanze si legano alla presenza o meno di personaggi transgender (che, lo ricordiamo, è un termine ombrello sotto al quale ricadono molteplici sfaccettature).

Partiamo dalla comunità queer. Giocatrici e giocatori LGBTQIA+ sono più disponibili a giocare a titoli con storyline (non del proprio avatar) omosessuali o bisessuali (o comunque legate all’orientamento sessuale), rispetto al giocare a titoli con storyline connesse a persone transgender.
Le due percentuali sono rispettivamente del 55% e del 43%.

Invece, se prendiamo i dati che rispondono alla domanda sull’avere protagonista omosessuale, pansessuale, ecc. (dunque con orientamento non eterosessuale) e sull’avere protagonista non-binary, agender o comunque trans (dunque non cisgender), abbiamo una forbice molto più ampia. Nel primo caso, abbiamo una percentuale del 63%, mentre nel secondo caso scende addirittura al 46%.

Ecco invece i dati per ciò che riguarda l’utenza non LGBT+. In questo caso, il 30% afferma che sarebbe meno propenso ad avvicinarsi a videogame in cui ci siano persone transgender come main character.

E non solo: il 24% di questa fetta di gamer si terrebbe a distanza da titoli con storyline con personaggi transgender, mentre solo il 20% acquisterebbe meno volentieri giochi con l’opzione di creare un avatar transgender.
Possiamo spiegare quest’ultimo dato riguardante il poter creare un personaggio transgender in maniera semplicistica ma anche ovvia: potendo creare o meno un avatar trans, è sufficiente non crearlo per non dovervi interagire.

Viene da sé una riflessione sull’apparente maggiore accettazione di orientamenti sessuali differenti dall’eterosessualità, rispetto a quanto non lo siano le identità di genere che non rispecchiano il binarismo di genere e il sesso biologico.

Un suggerimento in merito che ci arriva dal report di GLAAD fa riferimento alla maggior presenza di orientamenti sessuali dei più svariati tipi all’interno dei videogame, magari connessi alla possibilità di romance e simili. Dunque si tratterebbe meramente di abitudine a certe tematiche e figure.

E però è difficile toglierci il tarlo dalla mente che si possa trattare di una forma nascosta (forse neppure troppo) di discriminazione delle identità trans.
Quando infatti non siano utilizzabili per fini di marketing, magari per fare un po’ di rainbow washing) o grazie alla loro potenziale sessualizzazione, difficilmente abbiamo a che fare con personaggi come ne troviamo in Tell Me Why.

Giocatrici e giocatori LGBTQIA+: il gaming come modo per esprimersi

Il mondo del gaming viene visto dal 74% dell’utenza queer come un ottimo modo per poter mostrare il proprio vero io.
Se questo dato può risultare insolito a una prima lettura, forse un po’ di chiarezza la dà il prossimo dato: il 66% delle persone LGBT+ sfruttano i giochi per mostrare una parte di sé che non possono mostrare liberamente al di fuori dei videogame.

Dunque trovano nel medium videoludico uno spazio sicuro in cui sia possibile provare ad andare oltre i pregiudizi in attesa al di fuori dei videogiochi. E ci dà sostegno di questo il dato per il quale il 44% della comunità queer di gamer ha trovato nel gaming un aiuto a superare i danni causati dai pregiudizi in real life.

Al di là del pregiudizio, parlando del proprio io, il 36% di gamer LGBTQIA+ ha scoperto (o quanto meno ha avuto supporto) la propria identità di genere o orientamento sessuale anche grazie ai videogiochi.

Nonostante questo, è assai diffuso il pensiero per il quale il mondo del gaming avrebbe potuto fare di più o dare più possibilità di esplorazione del proprio io.

Videogiochi come escapismo: il medium come forma di evasione per le persone queer

Secondo i dati raccolti da GLAAD, la comunità queer è l’11% più propensa a utilizzare i giochi (rispetto a persone non LGBT+) per attraversare situazioni e periodi difficili, come forma quanto meno di evasione dalla realtà.

Addirittura, il 24% di giocatrici e giocatori LGBTQIA+ dipende dai videogame per migliorare la propria condizione mentale in situazioni gravi o difficili.

Questi dati appena elencati diventano ancora più pesanti, in termini percentuali, quando si associano a luoghi e stati in cui la pressione è particolarmente pesante sulle persone LGBT+ (in particolare, negli Stati Uniti, si è visto in questi ultimi anni un aggravamento delle condizioni generali, in particolare nei confronti delle persone più giovani e transgender).

Riprendendo i dati qua sopra, in queste zone estremamente arretrate in termini di diritti delle persone LGBT+ il 65% della comunità queer dipende dai videogiochi per superare situazioni di disagio e dolore, così come addirittura il 75% vede nei videogame una forma di espressione di sé.

L’importanza e i problemi delle community online

Poco più del 50% dell’utenza LGBT+ ritiene che la community di gamer sia aperta, e però il 38% si sente spesso di non farne parte, dati in generale sensibilmente più bassi rispetto a quanto affermato da persone non LGBT+.

Non abbiamo una risposta certa e univoca sul perché di questo, tuttavia abbiamo i dati relativi all’aver subito molestie e bullismo giocando online, che potrebbero essere i maggiori indiziati.

Il 52% della comunità di gamer LGBTQIA+ (dunque più della metà) ha subito attacchi o bullismo durante sessioni online (per le persone non queer abbiamo una percentuale del 38%). In moltissimi casi questo ha portato all’evitare di giocare a taluni titoli per paura di ripercussioni (42%) oppure ha portato all’allontanarsi da un gioco a causa appunto di questi avvenimenti (27%).

Per motivi simili, addirittura il 61% evita di usare il microfono o comunque di far sentire la propria voce in game.

Nonostante questi dati sconfortanti, tuttavia il 71% di persone queer che giocano hanno amicizie con cui condividere la passione per il gaming. Inoltre il 35% della comunità ritiene che questa sia la loro unica forma di socializzazione, dato lievemente più alto di quello dell’utenza non queer.

In generale, però, al netto dei molteplici problemi che qui abbiamo solo abbozzato, la metà della comunità di gamer queer si sente più accettata nella community videoludica rispetto a quanto lo sia nel mondo reale.

Videogiochi LGBTQIA+: quanti sono e quanti ce ne dovrebbero essere?

Partendo dalla percezione che hanno le persone queer di quanto sia la rappresentazione in game della loro comunità, solo il 27% ritiene che le grandi compagnie pensino a loro nel momento di creare nuovi prodotti, IP, titoli, ecc.

Invece, interessante è il dato secondo il quale il 48% di giocatrici e giocatori LGBTQIA+ si sente rappresentato in particolare da prodotti più piccoli e di nicchia, i videogioch indie (argomento che avevamo scalfito per esempio nel già citato testo sul poliamore).

Ma qual è la verità? C’è davvero così poca rappresentazione, oppure forse è solo un problema di percezione?
Il team di GLAAD ha analizzato e comparato quanti giochi vi siano con elementi LGBT+ (dunque che contengano tag o riferimenti espliciti a tematiche, storie, personaggi queer) rispetto al numero di videogame disponibili, il tutto cercando sulle maggiori piattaforme di distribuzione e vendita, su PC e su console. Per completezza, aggiungiamo che la lista è aggiornata al novembre 2023.

In numeri assoluti, su Xbox Store abbiamo un totale di 146 giochi con contenuti connessi al mondo queer. Su PlayStation Store il numero scende a 90 titoli, mentre fanalino di cosa è il Nintendo Switch eShop con soltanto 50 videogame.

Decisamente più rosea appare essere la situazione su Steam: 2302 giochi in lingua inglese.
Dato meno roseo è il fatto che, se eliminiamo il filtro per “contenuto a sfondo sessuale, ne rimangono 1506. Questo inevitabilmente ci fa tornare alla mente il nostro ragionamento sulla sessualizzazione di determinate categorie.

In ogni caso, come che sia, questi dati potrebbero farci pensare che tutto sommato non sembra bruttissima la situazione. Parliamo comunque, in totale, di migliaia di videogame.
Il problema si pone quando rapportiamo questo dato al totale di opere disponibili sulle varie piattaforme.

Su Xbox, PlayStation e Nintendo, i giochi con tematiche queer rappresentano meno del 2% dei giochi disponibili.
Leggermente meno peggio sembra andare su Steam, con un 2,5% rispetto al totale. Però, se eliminiamo dall’equazione i titoli con elementi per adulti, ci rimane un misero 1,7%.

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Questi dati, già sconfortanti e avvilenti di per sé, lo diventano maggiormente quando li proviamo a confrontare con analisi e studi simili relativi ad altri media.

Nel mondo del cinema, il 28,5% dei film del 2022 (dai 10 maggiori distributori) conteneva personaggi LGBT+, mentre per quel che riguarda le serie TV (per la stagione 2022-2023) pure queste hanno avuto una maggior rappresentazione di figure queer (con il 10,6%).

Addirittura, con uno studio sempre di GLAAD del 2023, sappiamo che perfino nella pubblicità (3%) c’è stata più rappresentazione di identità LGBT+ rispetto al mondo del gaming.

Game industry e comunità LGBT+

Oltre alle community online, oltre alla presenza o meno all’interno di questo o quel videogioco, rimane da analizzare anche quanto le aziende che finanziano o sviluppano videogame rispettano o meno ciò di cui spesso si fanno portavoce.

Stando a un dato di IGDA (la International Game Developers Association) del 2021, come riportato da GLAAD, l’enorme numero del 78% di persone LGBT+ ha subito ingiustizie nel settore della game industry, ingiustizie che possono andare da differenze di compenso a maggiori difficoltà ad aumentare di livello, fino a vere e proprie molestie o casi di bullismo.
Insomma siamo di fronte comunque a un dato che, anche fosse falsato e fosse da rivedere al ribasso, rimarrebbe comunque a dir poco preoccupante.

Quale che sia il dato esatto, il 65% delle persone LGBT+ che giocano (e il 50% invece di chi non si definisce queer) ritiene che le aziende dovrebbero migliorare e rendere i propri spazi più inclusivi.

In merito a questo, il 69% di utenti LGBT+ (e quasi una persona su due fra chi si definisce cis etero) che ritengono meno probabile l’acquisto o l’utilizzo di un’opera se vi sia notizia di trattamenti inadeguati ai danni di personale queer nell’azienda che ha lavorato al gioco.

Abbiamo infine un 54% di gamer LGBTQIA+ che sarebbe più propenso all’acquisto di un gioco, se nell’azienda di riferimento vi fosse una parte consistente di persone queer impiegate. Giusto per completezza, solo una persona su quattro circa dell’utenza non LGBT+ avrebbe la stessa propensione.

Le nostre conclusioni

Sebbene lo studio di GLAAD (e Nielsen) abbia avuto come terreno di svolgimento gli U.S.A. (e dunque i dati siano molto specifici dell’area geografica di riferimento), rimane una cartina di tornasole sufficientemente affidabile sullo stato attuale e globale dell’intera comunità queer quando si tratta di gaming.

E cosa possiamo dire riguardo i risultati del report?
Sicuramente ci sono elementi di speranza. La comunità LGBT+ è più viva che mai, anche nel mondo dei videogiochi, e con essa troviamo anche l’appoggio e il sostegno di una buona parte di coloro che di quella comunità non fanno parte (con buona pace della pletora di detrattori).

Tuttavia, nonostante questo, rimangono tante discrepanze e resistenze in alcuni ambiti, basti pensare a quanto siano restie molte frange di gamer, anche LGBT+, alla totale accettazione di tutte le identità e di tutti gli orientamenti.

Allo stesso modo, rimane l’arretratezza della rappresentazione di identità LGBTQIA+, con buona pace di chi sostiene che, all’opposto, vi sia persino una sovrarappresentazione o magari parla di agenda woke e simili.

Questo è vero, che si tratti di numero assoluto o percentuale di videogame con all’interno personaggi o storie queer, oppure che si tratti di persone impiegate in aziende publisher o di sviluppo.
A fianco a questo, ovviamente c’è anche l’annoso e mai placato problema del bullismo online, che come abbiamo mostrato colpisce in maniera particolare le persone queer.

Avremmo potuto portare, come unico contenuto per il Pride Month, una generica lista di personaggi queer presenti in questo o quel videogioco, giusto per avere un contentino da piazzare per questo mese di celebrazioni. Ma riteniamo che sia decisamente più giusto, corretto e onesto, prima di tutto, affrontare i problemi, parlarne, provare a risolverli assieme.

Ci sarà tempo per festeggiare e celebrare, sempre assieme.

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